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 2019  agosto 06 Martedì calendario

In morte di Alberto Sironi


Era un uomo colto, elegante, innamorato del teatro e aveva portato suggestioni teatrali nella serie che sarebbe diventato il più grande successo televisivo degli ultimi vent’anni, Il commissario Montalbano. Il regista Alberto Sironi è morto a 79 anni ad Assisi (dove domani a San Rufino, alle 11, si terranno i funerali). Si era trasferito in Umbria, amava la campagna e ha sperato fino alla fine di poter tornare in Sicilia sul set, la sua casa. Col peggiorare delle condizioni, era stato Luca Zingaretti a finire le riprese di Montalbano. L’ultimo ciak il 26 luglio, annunciato dall’attore con un post. Sironi se ne va dopo Andrea Camilleri, che si è spento il 17 luglio. Il vuoto, per la grande famiglia che lavora alla serie, è incolmabile.
Era nato a Busto Arsizio, ironizzava spesso su Nord e Sud, perché si era innamorato subito – ricambiato – della Sicilia, e era entrato nel mondo di Camilleri. Ne conosceva ogni segreto, nei paesi dove girava lo salutavano come fosse un parente. Quelle storie magiche erano musica, bastava vederlo come si muoveva sul set, sempre perfetto, con le famose camicie di lino e i pantaloni chiari. Si capiva, quando spiegava le scene, che gli sarebbe piaciuto interpretare tutti i ruoli. Chiacchierava, raccontava aneddoti, sempre col sorriso complice e la battuta: «Mica siamo qui a pettinare le bambole». Aveva voluto Zingaretti come protagonista e ne andava orgogliosissimo «perché Luca aveva fatto un provino speciale, era stato bravissimo» diceva. «Non ho mai avuto dubbi anche se fisicamente era diverso dal personaggio descritto da Camilleri, più vecchio, capellone e con la barba. Tanto che Andrea mi disse: “Ma perché l’hai preso pelato?”».
Zingaretti affida al suo profilo Instagram – postando una foto che li ritrae insieme sulla spiaggia – il saluto al regista. «Quante volte ci siamo mandati a quel paese, quante volte hai cucinato per noi, quante battaglie abbiamo condiviso, quante scene abbiamo riscritto, quante volte ci siamo detti ok, quante volte mi hai compreso, mi hai appoggiato, mi hai confortato. Quante volte hai minimizzato dove gli altri avrebbero ingigantito. Sei stato l’unico regista» scrive l’attore «che quando dava motore cominciava a raccontare le barzellette. Gli altri chiedevano il silenzio, tu raccontavi di Alberto Sordi». Insieme sul set per trovare sempre la soluzione migliore: «Che sapienza, che cultura – prosegue l’attore – che simpatia, che leggerezza, che signorilità, che gentiluomo eri. Quante volte, se riconoscevi che avevo ragione, hai detto: “Ok, la tua idea è migliore facciamo come dici tu” senza sentirti minimamente sminuito, perché avevi un animo grande. Perché ci stimavamo e ci volevamo bene. In poco tempo è la seconda volta che piango un complice di questa avventura. È penoso, è duro, è proprio un anno di merda! Addio amico mio!».
Affascinato dal teatro il giovane Sironi, iscritto a Architettura, decide di abbandonare l’università con grande dispiacere della madre. È il padre, parrucchiere a Gallarate, raccontatore di storie, a incoraggiarlo. Si forma alla Scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano: «Giorgio Strehler è stato un maestro di vita. Ci ripeteva sempre che sono gli attori a cambiare il destino di uno spettacolo». Per tutti era “il regista di Montalbano” ma Sironi nella sua carriera aveva girato servizi giornalistici per Tv7 e fiction di qualità. Con Il grande Fausto (1995), di cui aveva firmato anche la sceneggiatura con Gianni Celati e Giuseppe Tornatore, aveva ricostruito la storia di Coppi (Sergio Castellitto). Sua la regia di Virginia, la monaca di Monza, produzione raffinata con Giovanna Mezzogiorno nei panni di Marianna de Leyva, di cui Manzoni avrebbe raccontatato la storia. Carlo degli Esposti, produttore di Montalbano, gli aveva affidato i gialli delll’avvocato Guerrieri (Emilio Solfrizzi) dai libri di Gianrico Carofiglio. Poi aveva diretto Bob Hoskins, Geppetto nella trasposizione tv di Pinocchio, con Luciana Littizzetto Grillo Parlante.
Montalbano è stato un lungo capitolo della sua vita. L’altro capo del filo, in cui s’intrecciavano storie di migranti, lo aveva particolarmente colpito. «Vedere i filmati con la Guardia costiera che tira fuori dall’acqua gente che sta morendo lascia il segno» raccontava Sironi. «Si tratta della vita delle persone, cosa c’entra la politica? Siamo un paese cattolico che ha sempre accolto».