la Repubblica, 6 agosto 2019
Intervista a Noel Gallagher. Parla degli Oasis, di internet, dei figli etc.
Il primo album degli Oasis, “Definitely maybe”, uscì il 30 agosto di venticinque anni fa; dieci anni fa lo scioglimento della band sconcertò i fan. Ha mai rimpianto quella decisione?
«Mai! Ci sono due momenti fondamentali nella mia vita, il primo è stato fondare gli Oasis, il secondo sciogliere gli Oasis. Ora egoisticamente ribadisco: feci benissimo. La nostra popolarità è decuplicata dopo lo scioglimento.
Se fossimo rimasti insieme, saremmo una band malinconica della quale nessuno s’interesserebbe più», dice Noel Gallagher, 52 anni, insolitamente vestito di nero («Dovevo essere ubriaco ieri sera quando ho fatto la valigia»).
Il chitarrista e leader di High Flying Birds non ha dubbi, gli Oasis sono una storia importante. Ma è storia, appunto, e non si torna indietro.
Col fratello Liam, nessun rapporto.
Le invettive corrono in rete o a mezzo stampa, ma non c’è dubbio che è Noel il più rilassato e maturo. Intanto, dopo la brillante esibizione al Primo Maggio e i due concerti di luglio a Pistoia e Mantova, ieri ha pubblicato il singolo This is the place, anticipazione di un Ep in uscita a settembre, il terzo in meno di un anno.
Una reunion degli Oasis porterebbe milioni in cassa. Chissà in quanti ci avranno provato a convincervi.
«Solo una volta. In un jazz club londinese un promoter mi ha chiesto, quanto costerebbe un concerto unico? Io ho buttato lì, 25 milioni di euro solo per me. Non ha ribattuto. Grazie a Dio non ho bisogno di soldi, mi sono fatto il culo da giovane, anche quando mi sballavo facevamo grande musica. Adesso non ho problemi economici. Quindi non c’è cifra che potrebbe indurmi a una reunion».
Eravate fratelli coltelli già allora?
«Ovvio. Anche peggio. Ma cercavamo di trarne profitto a livello creativo. Col tempo avere a che fare con Liam è diventato logorante. A quel punto ho detto basta. E me ne sono andato».
Chi di voi è più ostile all’idea di una reunion?
«Lui va dicendo che sarebbe disposto; io lo ripeto da dieci anni, neanche morto! Capisco chi lo fa, gruppi rimasti al verde in cerca di un’ultima occasione, ma non è il mio caso. Quindi, direi che il più ostile sono io. Se tornassimo insieme sarebbe un fottuto disastro. Lasciamo i rancori sotto la cenere, quel che è stato è stato».
Internet ha completamente ribaltato la situazione, gli Oasis fecero ancora in tempo a incidere vinili.
«Internet ha rovinato il mondo.
Eravamo davvero così messi male prima dell’avvento della Rete? Ne avevamo bisogno? Avevamo la necessità di sapere in tempo reale che cavolo stesse pensando ogni fottuto cittadino del mondo? Di essere informati su cosa questo o quello mangia a colazione?
Internet ha distrutto la magia, fatto scempio del mistero, ignorato la privacy. Ma soprattutto ha ucciso l’industria discografica; la gente ha smesso di comprare dischi».
Lei, personalmente, che uso fa di Internet?
«Lo odio! Che ha prodotto di buono? Ha dato ai terroristi la possibilità di comunicare attraverso il dark web, ai violenti di bullizzare i più deboli, ai disonesti la di truffare in un territorio dove non esistono leggi né controlli.
Dov’è la luce che ha illuminato la mente umana?».
Come si regola con i suoi figli?
«La più grande ha 19 anni ed è ormai fuori controllo. I due piccoli usano il tablet solo per i videogame».
Lei come si tiene aggiornato musicalmente?
«Lo faccio quando sono in tour, perché a casa tra moglie, figli, cani e gatti non ho tempo per nulla. Le cose migliori le scopro col passaparola. Non accendo la radio, non leggo riviste musicali. Ora sto riascoltando i vecchi dischi dei Cure. Sono un vecchio fan della band, ma non li avevo mai visti dal vivo prima di quest’anno – al festival di Roskilde, concerto pazzesco. Non mi piace l’heavy metal, e neanche il pop moderno.
Preferisco il jazz. Il rap non è alla mia portata. Ho cinquantadue anni, sono un ex fottuto giovane proletario di Manchester, che me ne frega della street culture dei giovani di Baltimora?».
Pensavamo che il rock’n’roll fosse musica suonata da giovani per i ragazzi, invece ci sono in giro rocker settantenni in ottima forma, e Dylan è solo uno dei tanti.
«Grazie agli Stones, agli Who e a Paul McCartney, che non hanno mai smesso, anche noi abbiamo una vecchiaia garantita. Senza di loro, sarei già un prepensionato.
Quando iniziai con gli Oasis, ero certo che a un certo punto ci avrebbero dato un calcio nel culo e rimandato a casa. Per quanto mi riguarda, continuerò fin quando le canzoni che scrivo mi sembreranno credibili; quando mi renderò di affogare nella nostalgia, ci darò un taglio. Perché continuare? Sarebbe come risposare la moglie da cui hai divorziato, sarebbe come riformare gli Oasis. Il rock funziona se hai sempre una nuova moglie, giovane e bella, ahahahah. Prenda Bruce Springsteen, è un eterno giovane perché è un fan del rock, non ha mai tradito i suoi principi, un artista integro. Due anni fa l’ho incontrato per la prima volta a Formentera. Non sono un fan della sua musica, ma ci siamo seduti e abbiamo parlato per ore, è un uomo straordinario.
Mi ha riempito di domande su Manchester e sugli Stone Roses.
Chi è rimasto in sella è perché ha ancora qualcosa da dire e niente da dimostrare. Ho visto su Netflix il documentario di Martin Scorsese su Bob Dylan ( Rolling Thunder Revue, ndr), wow! Ero lì galvanizzato e ogni cinque minuti gridavo, vaffanculo, sei troppo bravo!».
Le hanno mai chiesto di fare il giudice in un talent show?
«Due volte, ho rifiutato. I talent sono il regno della pigrizia, tutti vogliono cantare e nessuno ha voglia di imparare a suonare uno strumento, un mare di cover e nessuna canzone originale che meriti attenzione – non le sanno scrivere. Alla fine a trarne profitto sono quelli che forniscono canzonette a quei poveri ragazzi accecati dalla smania di visibilità.
Io non conosco nessuna fottuta band uscita da un fottuto talent show che abbia lasciato il segno».
Lei non ha votato al referendum per la Brexit. È poi stato d’accordo col risultato?
«No. Non sono andato perché non riuscivo a credere che qualcuno sarebbe stato così stupido da votare per l’uscita dall’Europa.
Il risultato sembrava per tutti talmente scontato che non mi scomodai a lasciare lo studio di registrazione per andare al seggio.
Evidentemente non era così.
E ora? Rivotare? No, creerebbe un pericoloso vuoto democratico.
Ma sono sicuro che, dopo l’uscita, le cose andranno malissimo, tempo tre anni bisognerà riconsiderare l’intera faccenda.
Trovo ridicolo e inutile fomentare una divisione – che è anche diventata rancorosa – tra le due parti. Economicamente nessuno ne trarrà profitto.
Odio e divisioni, altro che villaggio globale».