Corriere della Sera, 6 agosto 2019
Autobomba al Cairo: 20 morti
«Ci è crollato il soffitto addosso, poi tutti hanno iniziato a fuggire all’esterno dell’edificio gridando». Ahmed Ramadan, contadino, era al National Cancer Institute per accompagnare sua figlia a fare la chemioterapia. Un lungo viaggio da casa, 145 chilometri a sud del Cairo, come ha raccontato all’Ap. Fino a domenica notte, quando la «terra ha iniziato a tremare sotto i piedi», come hanno riferito altri testimoni.
Torna l’incubo terrorismo nella capitale egiziana, dove un’esplosione ha causato la morte di almeno 20 persone e il ferimento di 47, «tre o quattro delle quali in gravi condizioni». A provocare la detonazione, avvenuta poco prima della mezzanotte di domenica, un’auto «imbottita di esplosivo». Al conducente sarebbe stato intimato lo stop per un controllo di polizia. A quel punto, nel tentativo di fuggire, l’attentatore si è diretto contromano e ad alta velocità finendo contro altri veicoli parcheggiati davanti all’istituto oncologico facendo così esplodere l’ordigno.
«È terrorismo». È stato solo nel pomeriggio di ieri, dopo ore di incertezza – le prime dichiarazioni attribuivano la strage ad un incidente automobilistico —, che il presidente egiziano Fattah al Sisi ha espresso le sue «più sentite condoglianze al popolo egiziano e alle famiglie dei martiri uccisi nel codardo atto terroristico», confermando così la pista dell’estremismo.
I primi sospetti ricadono sul movimento Hasm (in arabo «risolutezza» e acronimo di Harakat Sawaed Misr, il braccio armato d’Egitto), gruppo considerato vicino ai Fratelli musulmani, uscito allo scoperto il 16 luglio 2016, data del suo primo attentato contro il capo delle unità investigative delle forze di sicurezza Mahmud Abdelhamid. Il movimento, classificato come gruppo terroristico dagli Stati Uniti e messo fuori legge in Egitto dal 2017, ha compiuto molti attacchi contro agenti, militari, magistrati e contro l’ex Mufti, Giomaa. Tutti target ben precisi, con l’esclusione di luoghi frequentati dai civili. Non a caso, per il ministero dell’Interno, l’Istituto oncologico non era l’obiettivo finale. Nelle vie intorno all’ospedale hanno sede diversi uffici delle forze di sicurezza mentre la vettura sarebbe stata rubata «alcuni mesi» fa nella provincia di al-Manufiyya, a nord della capitale – dato che farebbe pensare ad un’operazione pianificata con largo anticipo.
In attesa delle autopsie delle vittime e dei test del Dna sui resti, resta il dolore di una città già sconvolta da arresti e violenze. «Abbiamo visto almeno sei corpi carbonizzati, pezzi di cadaveri sparsi in giro», hanno raccontato i testimoni ad una tv locale, mentre le immagini pubblicate da uno dei principali quotidiani egiziani, Al-Ahram, hanno mostrato fiamme, auto bruciate e i pazienti sfollati in strada con i familiari. Tutto intorno, la facciata sventrata dell’ospedale, porte e finestre in frantumi e una voragine sulle paratie lungo il Nilo.
Quello di domenica è uno degli attacchi più sanguinosi nella capitale, dopo quello della Pasqua 2016 rivendicato dall’Isis, nel quale morirono 30 persone. E arriva dopo la morte dell’ex presidente Mohamed Morsi, considerato esponente di spicco dei Fratelli musulmani e deceduto in tribunale, il giugno scorso.