Corriere della Sera, 6 agosto 2019
Dopo Milano Marittima il Salvini beach party continua a Sabaudia
«Abbiamo appena terminato la disponibilità sul nostro sito per le date che hai scelto», recita su un allarmistico sfondo rosso la scritta del noto portale di prenotazioni alberghiere all’atto di chiedere, a mezzogiorno di ieri, la disponibilità di una camera all’Hotel Oasi di Kufra, quattro chilometri e settecento metri di distanza da Villa Volpi, che lo scrittore Enzo Siciliano censiva tra le prime abitazioni di Sabaudia e che fu il set di Divorzio all’italiana di Pietro Germi. «Se non fosse per Villa Volpi laggiù», diceva Alberto Moravia, che si era innamorato di quei luoghi proprio dopo una visita a Siciliano (Pasolini sarebbe arrivato dopo, all’inizio soggiornava a casa di Laura Betti), «questa sarebbe stata ancora l’Italia di Stendhal. E Sabaudia, una città del silenzio stile Novecento».
Solo posti in piedi, insomma, per assistere al primo capitolo di una specie di «guerra dei mondi» versione bonsai. Che verrà scritto domani, quando proprio il lido dell’Oasi di Kufra scandirà il tempo della calata a Sabaudia di Matteo Salvini. Non si sa quanto casualmente, il vicepremier e leader della Lega ha scelto proprio i luoghi che furono di Moravia e Pasolini, di Dacia Maraini e Laura Betti, di Enzo Siciliano e Dario Bellezza, per proseguire quel suo personalissimo festivalbar iniziato al Papeete. Un tour che lo porterà in giro per le spiagge di mezza Italia, intuizione che sarebbe stata anche originale se non fosse stato per i Jova beach party inaugurati quest’anno da Jovanotti.
A Milano Marittima il «Capitano» – orgoglioso rappresentante della vocazione maggioritaria del volume al massimo, delle consolle, dell’inno nazionale remixato, dei cocktail a tutta plastica (bicchiere e cannucce), delle crepe alla Nutella a mezzanotte – giocava in casa, interprete e anche profeta del ritorno in auge di quella Riviera romagnola che negli anni Novanta si raccoglieva spiritualmente attorno alla strofa della hit in cui si cantava a squarciagola «Riccione.../per divertirti vienici anche tu/tra discoteche e musiche, ragazze coi bikini/sul viale Ceccarini c’è di più». A Sabaudia – dove i villeggianti sognano orgogliosamente la via italiana al «plastic free» (borraccette di metallo anche per l’acqua minerale), le discoteche un tabù, le cene in casa un must e dove l’unica concessione al fast food è sempre stato il supplì dello stabilimento Saporetti – è tutta un’altra musica.
Non esiste nulla di più opposto e contrario alla riviera romagnola che lo stile di Sabaudia. Anche dopo l’epoca dei Siciliano, dei Moravia, dei Pasolini, la località balneare del basso Lazio – per i detrattori medaglia d’argento del «radical chic» solo a causa dell’enorme popolarità di Capalbio – ha rappresentato quell’arco costituzionale che, a Roma, governava. Anche quando stava all’opposizione. I primi calci al pallone di Francesco Totti dopo il campionato, l’ombrellone portato a spalla da Walter Veltroni, Barbara Palombelli e Francesco Rutelli (in ordine alfabetico), il presidente del Coni Giovanni Malagò. Più Capalbio era partisan, più Sabaudia era bipartisan. A tentare di scardinare l’ultimo pezzo di quell’arco costituzionale, arriva Salvini. Lo aspettano gli antenati più celebri di quei «professoroni» che ha eretto a nemici. Oltre al mixer di una cassa che non ha mai superato un tot di decibel. Una città del silenzio, insomma. Che aspetta il più rumoroso degli onorevoli deejay.