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 2019  agosto 06 Martedì calendario

Mick Schumacher continua a parlare a suo padre

Gli parla, gli racconta ogni cosa. La sua vita, le corse, le vittorie: come quella di domenica, la sua prima in Formula 2. Nella speranza che lui, papà, possa sentirlo. Mick Schumacher, 20 anni, è figlio del pilota più vincente della Formula 1, quel Michael nascosto al mondo da una sofferenza iniziata nel 2013, a causa di un drammatico incidente sugli sci.
Gli parla. Della sua vita, delle sue corse. Non lo imita. Lo rincorre. Osservato metro dopo metro per scoprire sino a che punto può riuscire a riportare in pista l’immagine di papà.
È questo il destino di Mick Schumacher, che vince la sua prima gara in Formula 2 in un clamore tanto inevitabile quanto assordante per un pilota ventenne (22 marzo 1999), nato l’anno in cui Schumi si fece male a Silverstone, nel periodo peggiore della sua avventura in Ferrari. Il cognome: un privilegio e una condanna. Tanto è vero che Michael decise di iscriverlo alle gare di kart come Mick Betsch, figlio di Corinna Betsch, sua moglie. L’intenzione: proteggerlo, fortificandolo. Insieme in pista sino a poche settimane prima di quel diavolo di neve, 29 dicembre 2013.
Lui, Schumi, duro, severo, alle prese con l’immagine di se stesso bambino da trasferire con una dedizione assoluta; l’altro, Mick, tenero, dolce nei tratti, un carattere più simile a quello della mamma, diverso da Gina Maria, maggiore di due anni (20 febbraio 1997), che ha preso il piglio da papà e la passione per i cavalli dalla madre. Vicinissimi nel giorno del disastro, sugli sci, a Meribel; agganciati dall’affetto, da aspirazioni destinate ad una esposizione permanente.
Chi sorveglia la crescita di Mick, come Sabine Kehm, assistente di Michael, figura fondamentale per l’intera famiglia, descrive il piccolo Schumacher come una persona bisognosa di progredire secondo i propri tempi. Deve comprendere prima di fare, con qualche complicazione in un’epoca dominata da ragazzi pronti all’alba dell’adolescenza. «Credo gli siano serviti anni – racconta Stefano Domenicali, ex team principal Ferrari, presidente Lamborghini – per trovare una dimensione propria. Doveva salvare la passione trasmessa da Michael cercando un’espressione propria, mostrandosi per come è lui».
C’è un altro amico di famiglia, Nicolas Todt, figlio di Jean, a gestirlo come pilota, sono in molti disposti a sostenerlo, certi dell’impatto che produce un nome che è un marchio universale. «Ce la farà di sicuro ad arrivare in F1— racconta Jean Alesi, che ebbe un ruolo importante nel sostenere Mick, amico e collega di suo figlio Giuliano —. Ha dovuto sopportare una prova durissima: abituarsi prima ad un padre gigantesco e poi a convivere con una pena permanente. Tutto questo lo ha reso più maturo». E adesso, per molti versi, ne è consapevole, visto che ha portato in pista la Ferrari di papà ad Hockenheim con il suo bellissimo sorriso.
Sembrava in difficoltà all’inizio del 2018 e poi vinse il titolo europeo di Formula 3; sembrava in affanno all’esordio in Formula 2 prima di vincere la sua prima gara a Budapest. «Guardandomi attorno, sotto il podio, rivedere Corinna e tanti vecchi colleghi, mi è sembrato di fare un tuffo nel passato – dice Mattia Binotto, team principal Ferrari —. Avere un ragazzo così pieno di vitalità nel nostro vivaio è un piacere e grazie all’impegno e alla passione con la quale sta affrontando il percorso dell’Academy, il giovane Schumacher si è integrato subito in un gruppo già affiatato. Ha un carattere forte ma è un team player».
A papà – team player leggendario – Mick parla, racconta ogni cosa, con la speranza che possa sentirlo, nel mistero silente di questa lunga sofferenza. Ed è bello pensare che Michael ascolti e si emozioni, dopo averlo aiutato anche in questi anni dolorosi. Mostrando un’altra forza, il verso della gioia, ciò che più serve per elaborare il senso profondo del vivere.