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 2019  agosto 04 Domenica calendario

Pseudonimi, quando gli scrittori vogliono restare anonimi

L’anonimato agisce da moltiplicatore della curiosità. Un esempio? Il caso di Elsa Ferrante. Uno pseudonimo così ben protetto e gestito che, dall’uscita del primo romanzo L’amore molesto nel 1992, ha costruito via via un alone di mistero che cresceva titolo dopo titolo fino alla fortunata serie iniziata con L’amica geniale. Non poter attribuire un volto alla scrittrice – una donna? e perché non un uomo? come alcuni critici hanno ipotizzato – ha ampliato la dimensione del successo internazionale (nel 2016 «Il Sole 24ore Domenica» si era occupato del fenomeno avanzando l’ipotesi che la Ferrante fosse Anita Raja, traduttrice e moglie dello scrittore Domenico Starnone). Lo pseudonimo rientra nella condizione dell’assenza: c’è un nome ma non la persona. Un’assenza presente che opera, si ripropone, fa circolare idee, entra nel vissuto del lettore e nei meccanismi della sua fantasia, tenendola in continuo esercizio. Si potrebbe anche qualificare come un mascheramento dove l’identità sceglie la posizione del gioco delle parti: si muove in pubblico come nei grandi balli in maschera che la Venezia del Settecento ha proiettato nell’immaginario collettivo.
La letteratura conosce un’altra espressione di assenza accanto a quella dello pseudonimo che, proprio nei secoli dei Lumi, ha visto la sua maggiore produzione: è la decisione di dare alla stampa opere completamente anonime, dove non solo manca il nome dell’autore ma spesso anche quello dello stampatore. Accade per diversi generi di scrittura dal romanzo ai libri di viaggio, dai trattati filosofici a quelli di taglio politico. Un campo, questo della letteratura senza attribuzione, tutto da indagare. In parte lo si è fatto con la redazione dei Dizionari degli anonimi e degli pseudonimi, definiti dallo studioso inglese John Mullan «i grandi monumenti dimenticati dell’erudizione del XIX secolo». Si tratta di testi che contengono i titoli delle opere uscite originariamente senza nome dell’autore ma che successivamente sono state attribuite. «Ma le opere mai attribuite non si trovano né sul Melzi per quelle italiane, né sul Barbier per quelle francesi, né sull’Halkett-Laing per quelle inglesi» scrive Lodovica Braida docente di Storia della stampa e dell’editoria all’Università degli Studi di Milano. Il suo saggio L’autore assente, da poco in libreria, esplora proprio questo vasto territorio che in Italia, durante l’Antico Regime, costituisce un fenomeno dai molteplici significati, tutti da approfondire per cogliere ancora di più lo spirito degli italiani e le condizioni politico-culturali che hanno condizionato – e non poco – le scelte degli intellettuali.
L’anonimato non è mai casuale. Sul finire del Seicento, esattamente nel 1690, un autore francese, Adrien Baillet, elaborò quattordici possibili ragioni per pubblicare un libro senza il proprio nome o con pseudonimo. Ci sono la prudenza per timore della censura, l’imbarazzo di avere un nome ridicolo, la vergogna di pubblicare un’opera indegna del proprio status, la modestia, la paura delle critiche ma anche il piacere del divertissement. Che cosa accade nel Settecento? In un paese diviso in tanti Stati, alla censura ecclesiastica si aggiunge quella laica a difesa dei poteri costituiti. Il diritto d’autore – che stabilisce «una relazione tra l’opera dell’autore e la vita dello scrittore» – non si vede all’orizzonte nonostante in Inghilterra sia riconosciuto dal 1710 e in Francia dal 1793. Gli stessi scrittori non ne avvertono l’esigenza, salvo rari casi che vedono uscire allo scoperto Carlo Goldoni a difesa della proprietà letteraria dei suoi lavori. Il commediografo intentò perfino una causa al suo editore-stampatore. Sono invece in molti a trincerarsi dietro il testo anonimo pur di diffondere idee controcorrente. Vi ricorrono molti religiosi sia per attaccare i poteri costituiti sia per denunciare dinamiche interne alla chiesa e agli ordini religiosi. Un genere particolare è rappresentato dalla letteratura di viaggio che consente, parlando di un paese straniero, di smascherare ingiustizie, privilegi, corruzioni italiane e di intervenire su costumi e leggi da riformare. Gli editori d’accordo con gli autori arrivano anche a falsificare la data e il luogo di pubblicazione. Molti libri ricorrono all’espediente letterario della scrittura epistolare giocando sul termine «Lettere» o «Lettres» perché nel corso del Settecento questo genere trova esempi illustri in Voltaire (Lettres anglaises) e Montesquieu (Lettres persanes). Non solo, sotto il titolo «Lettere» o «Lettres» si raggruppano numerosi testi – i «livres philosophiques» – legati ai circoli clandestini dei libri proibiti.
Se «l’autore assente» può permettersi di diffondere idee proibite, non può tuttavia controllare i suoi scritti. Contraffazioni e stampe pirata diventano un fenomeno diffuso. Ne sapeva qualcosa il poeta e abate Giuseppe Parini autore del poemetto Il giorno in cui non risparmia la satira verso la nobiltà che ha avuto modo di frequentare e conoscere da vicino.