il Giornale, 5 agosto 2019
In 7 mesi 250 attacchi di massa
Duecentocinquanta «mass shooting», ovvero sparatorie di massa, soltanto in questo 2019 che è ancora ben lungi dall’essere finito. In otto casi – compreso El Paso – le vittime sono state in doppia cifra. Dati allarmanti, che parlano di un fenomeno che spesso assume i toni dello scontro politico negli Stati Uniti, ma che le cifre riconducono a un’emergenza sociale e civile. Del resto secondo un report del Congressional Research Service di pochi anni fa negli Usa circolerebbero più armi che persone: 357 milioni di macchine della morte contro una popolazione di soli 318,9 milioni di persone. Secondo lo studio il 20 per cento dei possessori possiede il 65 per cento delle armi totale. Impressionante il dato che gli Stati Uniti ospitano il 42 per cento dei civili armati del mondo a fornte del 4,4 per cento della popolazione terrestre. Secondo il sito Gun Violence Archive, che aggiorna in tempo reale il computo delle vittime da armi da fuoco negli Stati Uniti, nei primi sette mesi del 2019, ci sono già stati in America 8574 morti e 17.013 feriti. I bambini di età compresa tra 0 e 11 anni colpiti sono stati 377, gli adolescenti 1765. I «mass shooting» fino al 1° agosto erano 248 e sono ora quindi saluti a un quarto di mille. Le cronache riportano episodi che è quasi difficile distinguere l’uno dall’altro per come si assomigliano e per quanto di frequente avvengono. Se a El Paso e a Dayton si conta un totale di 29 morti (e il bilancio potrebbe aggravarsi a causa della presenza di numerosi feriti), l’ultima strage a finire sui giornali di tutto il mondo risale al 28 luglio, quando a Gilroy, in California, nel corso del Garlic Festival, un assaltatore poi ucciso dalla polizia ha ammazzato con un fucile semiautomatico tre persone (tra cui un bambino di 6 anni) e ferito altre 15 alcune delle quali in modo grave. Il giorno prima a Brooklyn, uno dei borghi di New York un’altra sparatoria durante una festa di quartiere con il bilancio di un morto e undici feriti. Le stragi più gravi degli ultimi anni sono quello di Las Vegas, dove il 1° ottobre 2017 Stephen Paddock, 64 anni, sparò dal trentaduesimo piano di un hotel sulla folla riunita per un concerto country e uccise 58 persone ferendone altre 500 prima di suicidarsi lasciando il gesto nel mistero, malgrado l’opportunistica rivendicazione dell’Isis. L’anno prima, il 12 giugno 2016, era stato uno statunitense di origine afghana, Omar Mateen, a uccidere 49 persone e ferirne altre 50 in un club frequentato dalla comunità Lgbt a Orlando, in Florida prima di essere freddato dalle forze dell’ordine. Più recenti la strage di Sutherland, in Texas, del 5 novembre 2017, dove un uomo uccise 25 persone in una chiesa e quella di Parkland, in Florida, dove il 14 febbraio 2018 il 19enne Nikolas Cruz ne freddò 17 in un liceo. E pochi mesi fa, il 31 maggio 2019 un dipendente municipale di Virginia Beach, in Virginia, ha sparato sui colleghi facendo 12 morti.