Libero, 5 agosto 2019
Cadaveri dimenticati. Un giro nel laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano
C’è una donna italiana di circa 35 anni rinvenuta il 7 giugno 2017 vicino alla centrale elettrica di Rozzano, un cadavere senza nome trovato con un orologio Casio e scarpe da ginnastica scure numero 37. C’è un settantenne ricoverato il 27 marzo 2016 alla clinica San Giuseppe di Milano e deceduto quindici giorni dopo, nella sua scheda sono elencati pochi effetti personali, oltre a un camice ospedaliero bianco e un braccialetto con palline in legno colorato. E ancora, quel corpo senza vita raccolto nella periferia milanese: nella sacca trovata accanto al suo cadavere, uno scontrino di acquisto “Tavernello” al market Carrefour in via Ripamonti dell’8 dicembre 2006 alle 18.24, l’ultimo suo segno di vita. C’è anche una 17enne “di razza negroide” rinvenuta tre anni fa alla stazione ferroviaria di Rogoreto: di lei restano sandali bianchi, reggiseno di colore grigio e slip bianchi con pizzo laterale con etichetta non leggibile. Sono alcuni dei cadaveri senza nome che si trovano nel “Labanof”, il laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano, che da quattordici anni si occupa del recupero e dello studio dei resti umani, oltre alla attività didattica universitaria. Qui, dal 1995 ad oggi, sono custoditi 83 cadaveri “invisibili”, a fronte di 51 identificati (dati aggiornati al dicembre 2018). Nel sito del laboratorio, unico nel suo genere in Italia, sono pubblicati gli identikit dei cadaveri non ancora identificati, pervenuti all’osservazione dell’Istituto di medicina legale di Milano. Alcuni hanno il volto deturpato da ferite o piccoli tagli, altri semplicemente gli occhi del sonno eterno. Basta cliccare sopra la data di scomparsa per aprire la scheda post-mortem. Dalle arcate dentali agli oggetti personali, dal dna ai tatuaggi o cicatrici, dai volti ricostruiti in 3D alle foto del cadavere: sono scarne le descrizioni che accompagnano questi corpi rimasti per anni sconosciuti. E ancora, foro di orecchino, dita amputate, biglietti da visita con numeri telefonici, pacchetto di sigarette. PREGHIERE IN LATINO L’ultimo legame con la vita – terminata in modo violento come nel caso di omicidi, oppure in modo disperato come i tanti senza tetto o persone che si suicidano – è una scarna lista di oggetti. L’ultimo sconosciuto è un 32enne rinvenuto lo scorso luglio in via Campazzino a Milano. Il suo cadavere presentava numerose fratture e traumi al volto e al corpo. Nel suo zaino un libro di preghiere in latino e due fogli manoscritti a penna, riportanti alcune preghiere sempre in latino. Aspetta lì, insieme agli altri “invisibili”, un parente, un amico stretto, qualcuno che reclami la salma per dargli una identità o una più dignitosa sepoltura. La Lombardia è la regione che ha applicato per prima il modello organizzativo di circolarità informativa. Poi il “modello Milano” è stato applicato in Toscana e Lazio. La lista dei cadaveri senza nome, infatti, non si esaurisce al “Labanof” di Milano. In Italia, secondo il rapporto stilato dal ministero dell’Interno e aggiornato ogni sei mesi, le persone senza vita “non identificate” sono oggi 903, divise per regione (il Lazio vanta il primato, con 223 corpi) e schedate anche qui in 25 pagine con data del ritrovamento, luogo, sesso, etnia, colore di occhi, capelli e notizie generiche. A quest’elenco si devono poi aggiungere i 1.730 migranti deceduti senza che se ne conoscessel’identità, alcuni già sepolti dopo l’ok dell’autorità giudiziaria, altri no. «Si è deciso di separare le liste – spiega il prefetto Giuliana Perrone, commissario straordinario del governo, – visto l’alto numero dei migranti annegati nel Mediterraneo. Molti sono ancora in attesa di sepoltura. So che a breve aprirà in Calabria un grande cimitero per loro. Per i cosiddetti “domestici”, invece, sono per lo più persone vittime di eventi accidentali, colpite da malore o vittime di reati». EFFETTI PERSONALI Dal 1974 – anno in cui si è iniziato a catalogare i corpi – a oggi, il report si è allungato giorno dopo giorno, aggiungendo tanti ragazzi di cui nessuno reclama la salma. La maggior parte dei giovani (dai 20 ai 35 anni) si è tolto la vita gettandosi sotto un treno in corsa oppure impiccandosi. Nonostante la tenera età, i familiari non si sono mai rivolti alle forze dell’ordine per segnalare la loro scomparsa. Ed è anche per questo che il “Labanof” di Milano ha deciso di aprire una pagina web dove sono pubblicati, divisi per anni di ritrovamento, i loro volti come macabre foto segnaletiche. Come quella di un ragazzo trovato in un casolare abbandonato di Castellaro, in provincia di Imperia. Lui aveva 20 anni. È morto dentro a un sacco a pelo. Nello zaino un vocabolario italiano-spagnolo e una cartina della Francia. In tasca aveva dollari e lire. Annotava il suo viaggio in un diario, ritrovato accanto al cadavere. Pensieri, emozioni, sigillati in una busta di plastica che probabilmente non verrà riaperta mai più. Nel rapporto ci sono i tanti casi come quello di Salerno: un cadavere con un cappio al collo riemerso sotto le foglie ingiallite. Iniziano le ricerche e, come da copione, si cerca la compatibilità con le persone scomparse; ma poi, come si leggerà nelle pagine del ministero, di quel giovane nessuno saprà nulla. Ci sono i freddi frammenti di storia di quel corpo mummificato privo di documenti: in tasca aveva pochi franchi datati 1910 e il ritaglio di un articolo di giornale del 1928. Deve aver percorso migliaia di chilometri prima di raggiungere il ghiacciaio lombardo del Scerscen. Sono i test di laboratorio a scoprire i suoi 23 anni di età. Il suo corpo è stato mangiato dal gelo ed è rimasto lassù per un tempo indecifrato. Era partito dalla Svizzera, con cartine per orientarsi, ma il suo viaggio si è concluso in un obitorio comunale lombardo. Numeri, date, segni identificativi che non sono bastati a identificare. Questi corpi hanno amato, vissuto. Sono stati abbracciati, stuprati dagli stessi assassini che poi hanno deciso di privarli d’identità magari gettando via i documenti. Come quel tatuaggio con la scritta Sandra, che l’acqua del mare non è riuscita a cancellare sulla pelle del giovane ventenne, uno dei tanti reclamati da nessuno, è la riprova che qualcuno lo ha amato. Alcuni si sono consumati con l’eroina, altri hanno deciso di darsi alle fiamme nella speranza di vagare nel tempo senza un nome su una lapide. RITROVATA NEL 1974 Tra i cadaveri c’è quello di una 17enne trovata in un laghetto, dentro un sacco di plastica a Piazzola del Brenta. Solo lei ha visto il volto del suo assassino prima di essere gettata come spazzatura. A Termoli nel 1974 è stata ritrovata una sessantenne, probabilmente uccisa. In 43 anni nessuno è riuscito a identificarla e a capire i perché della sua morte. Come è capitato 21 anni dopo a una ragazza gettata da un’auto in corsa dopo una violenta lite. Il suo cranio non ha retto all’urto. Il suo corpo, conservato congelato, indica un’età tra i 20 e i 40 anni. Ci sono decine di corpi che attendono un’identità dagli anni Novanta, una quarantina dagli anni Ottanta e quindici addirittura dagli anni Settanta. Fino all’uomo ritrovato nel 1969 nelle cascate Stange (Bolzano), di cui non si sa nulla. Un unico denominatore: di loro restano poche righe, resti umani, ossa lasciate spesso a corrodersi alle intemperie insieme agli ultimi oggetti che avevano con sé prima di diventare invisibili, prima di essere catalogati tra i morti che non vuole nessuno.