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 2019  agosto 05 Lunedì calendario

Intervista a Cara Delevingne. Parla (poco) della sua omosessualità, di moda e della seria Carnival Row

Cara Delevingne, inglese, 26 anni, discendenze nobili, supermodella, cantante, attrice (tra i suoi film Suicide Squad e Valerian e le città dei mille pianeti ), influencer e imprenditrice, non ha dubbi sulla propria sessualità: è gay e fiera di esserlo. Pochi giorni fa ha sposato in gran segreto a Las Vegas la sua compagna Ashley Benson, attrice e modella: secondo le poche indiscrezioni filtrate nelle ultime ore, ha officiato le nozze un sosia di Elvis Presley. Tra i pochissimi ospiti Charlize Theron. «Non parlo della mia vita privata – ci dice durante il nostro incontro a Los Angeles – cerco di tenere il riserbo sulla mia relazione. È l’unica area davvero privata della mia vita così tanto pubblica, e vorrei mantenerla tale. Ma non credo che sposare una persona dello stesso sesso sia “diverso”. È la nuova normalità».
L’attrice è la protagonista nella nuova serie Amazon Carnival Row (disponibile dal 30 agosto in versione originale, quella in italiano arriverà il 22 novembre), un fantasy ambientato in epoca vittoriana, dove veste i panni di una sorta di fata aliena che sembra abbracciare ogni tipo di orientamento sessuale. «È un essere pansessuale», spiega, «tutte le fate in genere lo sono: trascendono il genere, il sesso cioè, non lo vedono. Per loro conta solo chi sono io, chi sei tu, cosa c’è nel nostro cuore. Loro amano chi amano, senza distinzione. Peccato non poter essere una fata, mi piacerebbe sperimentare quella condizione».
La Delevingne recita nella serie accanto al suo connazionale Orlando Bloom. Sono due amanti quasi impossibili: lui, Philo, è un detective umano, lei, Vignette, una fata esule da un altro pianeta. In questa fantasia piena di creature mitologiche arrivate sulla Terra da altri mondi, la crescente popolazione di immigrati si sforza di coesistere con gli umani nella zona più brutta della città, The Row, dove tutto è proibito, anche l’amore. Ma nell’oscurità Philo e Vignette sfidano l’intolleranza e si corteggiano. Intanto Philo indaga su una serie di orribili omicidi che minaccia il fragile equilibrio del Row, fino a svelare un mostro peggiore di quelli dei nostri incubi.
Cara, “Carnival Row” parla in realtà di un tema di scottante attualità sotto la sua patina di fantasy in costume, vero?
«Verissimo, è una metafora delle nostre peggiori paure, dell’insofferenza e del sospetto verso chi fugge da violenza e fame e chiede asilo e accoglienza. La serie è in realtà una riflessione sulle nostre paure, soprattutto quelle diffuse dai leader politici. Racconta classismo e sessismo. C’è troppa paura nel mondo nei confronti dei migranti, dei profughi, siamo troppo spaventati del loro arrivo nelle nostre privilegiate società. È una paura creata dai governi, e come cittadina britannica parlo a ragion veduta. Ma purtroppo è qualcosa che sta succedendo in tutte le aree del pianeta. Il diverso viene sempre visto come pericoloso. La diversità dovrebbe essere invece sempre celebrata. È bellezza»
Ma c’è una dimensione sexy in “Carnival Row”.
«Certo, perché l’elemento sensuale, quello dell’amore e del sesso, getta luce su tutto. Se fosse tutto oscuro non vedremo nulla. Ma il sesso in questa storia è bello e sorprendente. Se oggi è così facile odiare, deve esserlo anche amare. E la mancanza d’amore è alla radice di tanti problemi nel mondo».
Le piacciono le favole?
«Per i bambini le favole sono fondamentali per la formazione della coscienza. Nutrono l’immaginazione e ci insegnano a viaggiare con la fantasia in altri mondi. Se non credi in queste fantasie finisci per diventare un essere arido. Non puoi volare? Lo puoi sognare, o immaginare. Nella serie volo molto, appesa ai fili, sono come Tom Cruise!».
Sappiamo che Joan Collins è la sua madrina: che influenza ha avuto nella sua carriera?
«Non le ho mai chiesto di aiutarmi nella mia carriera, ma certo ho imparato tanto da lei, un’attrice divina che veniva dalla scuola d’arte drammatica di Londra, che io non ho potuto frequentare perché non ero brava abbastanza a 15 anni, come lo era lei. Ma Joan mi ha sempre incoraggiata: mi ha insegnato che se hai un sogno devi inseguirlo con tutto quello che hai dentro. E il suo senso dell’umorismo, anche autoironico, mi ha in qualche modo formata».
È anche coinvolta nel mondo della moda. Un altro modo per esprimersi?
«Non sono una grande stilista, anche se mi occupo di moda. Nell’industria del fashion mi sentivo attrice, perché facevo finta di saperne, dissimulavo bene. Grazie alla moda ho capito che potevo recitare, e che mi piaceva.
Non mi reputo una persona molto alla moda, può sembrare stupido ma è così. E me ne rendo conto più che mai recitando al cinema o in tv, dove davvero un capo d’abbigliamento fa il personaggio.
Ammiro i costumisti, loro sì che sono grandi artisti! Ed è vero che con la moda ti esprimi, come un personaggio si esprime anche con i costumi di scena che indossa».
Ma lei è una grande appassionata di decorazioni e di accessori, vero?
«Considero gli accessori come un’armatura, perché mi sento un po’ fragile e esposta, e allora mi riempio di anelli. Non che intenda aggredire qualcuno! Ma il metallo, l’oro, succhiano energia, invece le pietre possiedono energia, l’emanano. Preferisco gli accessori ai vestiti. C’è una componente di gioco, come fosse un elemento di scena, che mi dà allegria».