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 2019  agosto 05 Lunedì calendario

Renzo e Lia Piano, padre e figlia si raccontano

In che cosa vi assomigliate di più? «Chiedilo a lei». «E perché a me?». Nel piccolo battibecco che chiude questo pranzo consumato guardando il mare a Punta Nave, nella sede genovese dello studio di architettura RPBW, c’è tutto l’amore sottinteso e potentissimo tra padre e figlia, Renzo e Lia Piano, tenerezza e curiosità che rimbalzano da una parte all’altra del tavolo tondo, schivando il melone con il prosciutto crudo, i gamberi in salsa rosa e il branzino gratinato, la bottiglia di Pigato fresco per il capofamiglia, che durante i pasti non beve mai acqua. Sarà lui a proporre la sintesi finale, dopo il caffè e un pezzetto di cioccolato fondente: «La cosa più importante tra noi due è capirsi al volo, diversamente dagli altri miei figli: Carlo, hai voglia...; Matteo, figuriamoci...; Giorgio, lasciamo perdere!».
Comincia il padre, divertito dal compito. «Lia da piccola? Uno spettacolo... Aveva capelli talmente fini che bastava un soffio d’aria perché si muovessero: dovevi vederla quando correva in spiaggia a tre chilometri all’ora (ha calcolato la velocità, ndr) e volavano all’indietro. È nata con lei l’abitudine di misurare un figlio...». Abitudine mai persa, che mette in pratica sul momento estraendo dalla tasca il metro e andando a controllare il neo della figlia nella gamba destra: «Diciannove millimetri; da bambina erano solo quattro».
La vita in barca è tra i primi ricordi. «Lia era nata a ottobre, la portai a bordo a luglio. Si è vaccinata presto, non soffre il mal di mare». Lei conferma, e racconta delle foto più improbabili scattate mentre beveva una tazza di latte durante una tempesta o leggeva il libro a testa in giù quando tutti avevano la nausea. Chiediamo se la barca non fosse pericolosa per una bambina così piccola. «Al contrario, è il posto più sicuro», replica pronto l’armatore. «Mettevo le reti, ho cominciato a farlo più di cinquant’anni fa... E poi Lia la legavo». Prego? «Va be’, legare... Diciamo assicurare... Bastava un nodo al braccio, non scorsoio... Una gassa d’amante, che già il nome denota le buone intenzioni... Lasci il nodo un po’ lasco e il bimbo non si perde. Può solo cadere dentro un osteriggio, cosa che le è successa solo una volta». «Su un tavolo, e sono rimbalzata fuori», precisa Lia. «Ma a te andò bene: Marina Berio finì su una pentola di cozze!», chiude il padre.
Della sua «picciotta» («Che vuol dire piccina, ma anche un po’ canaglia») ha incisa nella memoria l’immagine «riflessa» di lei sulle sue spalle, il 31 gennaio 1977. Ricorda: «Era il giorno di apertura del Centre Pompidou, aveva quattro anni e mezzo, me la tenni così tutto il tempo a guardare lo stupore sulle bocche degli altri. Era stato Roberto Rossellini a suggerirmi, all’inaugurazione, di osservare l’edificio con gli occhi degli altri. Avevo barba e capelli lunghi, perché a quei tempi li tagliavo una volta l’anno». Qui Lia aggiunge un altro aneddoto degli anni parigini: «Le prime parole che pronunciai furono Haby foutu! Era lo slogan contro il ministro dell’Istruzione René Haby, lo sentivo dagli studenti in corteo sotto casa nostra».
Crescendo, sono rimasti memorabili i «test della barca» agli aspiranti fidanzati. «Il mio capolavoro è stato uno», comincia il padre, mentre la figlia annuisce già divertita. «Venne questo qua, di cui non ricordo il nome, mentre eravamo in porto e io stavo lavando la barca. Si levò le scarpe e rimase con i calzini. Colgo l’occasione al volo e con la pompa allago ben bene davanti a me. E mentre lui si avvicina i suoi piedi fanno “ciac, ciac”, sempre di più». Ridono insieme.
È stato, ed è ancora, un padre «impiccione», ammette Lia. «Adesso quando mi chiama mi chiede le coordinate di dove mi trovo: ho dovuto imparare qualcosa di longitudine e latitudine per accontentarlo». Ma lui: «Me le dà a casaccio, propone luoghi impossibili!». E si è impicciato anche del romanzo che Lia pubblicherà a fine agosto con Bompiani, Planimetria di una famiglia felice: «Ha voluto cambiare tutte le misure. A un certo punto avevo scritto che una pila di panni da stirare era alta due metri e lui ha obiettato che così cede strutturalmente. La cosa incredibile non è che lo abbia detto, ma che io lo abbia cambiato!». Quando però lui si alza, ammette di ammirare senza condizioni la sua modernità: «Ha una libertà di pensiero che me lo rende indispensabile. Vorrei avere il suo sguardo capace di vedere subito lontano».
Hanno gli stessi occhi, azzurri come il mare che amano entrambi. Chiediamo all’architetto perché ha accettato di fare questo incontro. «Per obbedienza assoluta. Specie con la picciotta». Si era capito.