Libero, 5 agosto 2019
L’ultimo pacchettino. Cari nonni vi scrivo
È il 6 aprile 1989. Quella mattina mi sto abbottonando il colletto bianco del grembiule nel corridoio di casa quando squilla il telefono. Risponde mamma, passa il ricevitore a papà. Il silenzio dei minuti successivi è interrotto solo dalle parole di mio padre che pallido si rivolge a noi dicendo: «Andiamo subito tutti a Latisana. Nonno Vito non c’è più». Era un uomo piccolo e sorridente Vitantonio Doremi. Cresciuto a Copertino, lo chiamavano Vito o Uccio, non conosce i nonni, il padre Antonio e la mamma Giovanna erano stati lasciati nella ruota degli esposti in un convento di suore in Puglia. Da ragazzo parte per la leva militare in Friuli, incontra Rosanna. Si innamorano, vogliono stare insieme, la loro unione viene contrastata dalla famiglia di lei. Bruciano le tappe, Rosanna rimane incinta, diciassette anni lei, ventitré anni lui, si sposano e, finalmente, con la benedizione di tutti muovono i primi passi di una giovane coppia che cresce quattro figli ai margini del fiume Tagliamento. Attraverso il finestrino della Citroen GS Special gli alberi corrono veloci. Col naso incollato al vetro, conto i cartelli che riportano le indicazioni stradali finché non mi stanco, ritorno a formare un gomitolo testa-piedi, corpo a corpo con mio fratello, la coperta tirata fin sotto il naso, una valigia come cuscino e un peluche per amico. Ripenso a tutte le altre volte che ho percorso quel tragitto, sicuramente, ogni Natale che mi ricordo è iniziato con quel viaggio verso i nonni. Ogni volta almeno cinque ore di strada da percorrere prima di arrivare a destinazione. Nel grande salotto sviluppato intorno a un’economica stufa degli anni ’60, nonno Vito aspettava tutti col sorriso, poi tendendo i pugni chiusi si rivolgeva a noi nipoti, chiedeva di sceglierne uno dei due che conteneva degli ovetti di cioccolato. Dopo la scelta diceva sempre: «Bravi, avete indovinato! Per premio vi do anche gli altri» e apriva il secondo pugno pieno. Dapprima sarto molto abile, poi bidello attento, a fine lavoro portava la sua solarità meridionale nel bar di paese dove, tra una partita a carte e un caffè, trascorreva momenti di spensieratezza con gli amici. Un tumore ai polmoni, improvviso e feroce, lo coglie e lo porta via a cinquantanove anni non ancora compiuti. IL SILENZIO IRREALE Sulla Romea quel giorno non ci sono molti camion in strada, però nessuno in auto commenta questa singolarità che in tutte le altre occasioni sarebbe stato un ottimo argomento di conversazione. Il silenzio ci seguirà per molte ore ancora. Guardo al polso il mio orologio nuovo di pacca, un Casio, è l’ora di pranzo, non ho fame, mi tornano in mente le immagini dell’ultima volta che ho fatto quello stesso viaggio solo poche settimane prima. Mi ricordo del pranzo a casa dei nonni, anche quel giorno senza appetito. La tavola apparecchiata era piena di tanto cibo, formaggio, affettato, vino rosso, pane fresco, grissini, minestra al pomodoro nei piatti. Nonna Rosanna sfuggente, nonno Vito per la prima volta si mostrava fragile e molto triste. Il cortisone lo aveva trasformato, la malattia continuava la sua lesione interna. Nonno aveva in mano due pacchettini, gli tremavano le mai, due lacrime rigavano il viso. Io e mio fratello non parlavamo e mangiavamo a tratti. Nemmeno nonno mangiava, ma parlava, parlava tanto. Ci diceva che ci voleva un bene immenso, diceva anche che la vita a volte è ingiusta, che ormai non si poteva fare più nulla, che avrebbe voluto fare tante cose, che non glielo dicevano ma lui sapeva di stare molto male. Sembrava non volere più smettere di parlare, finché improvvisamente si asciuga le lacrime, sembra stare meglio e torna a sorridere. Consegna i pacchetti a me e mio fratello e ci abbraccia forte. Noi, felici del dono ricevuto e del sorriso ritrovato, abbiamo aperto i regali e subito indossato gli orologi che erano al loro interno. Abbiamo ritrovato l’appetito, le speranze, le possibilità e tutto ciò che di più ottimistico si trova nella magica mente dei bambini. E siamo rimasti così fino allo squillo di quella mattina.