Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 04 Domenica calendario

Hitchock ha ucciso 86 volte

È la scena per eccellenza. Il personaggio di Janet Leigh, Marion Crane, viene assassinato a coltellate sotto la doccia nel bagno della sua stanza al Bates Motel. È una delle sequenze più celebri e violente della storia del cinema. Di certo una delle più note tra quelle di Sir Alfred Hitchcock, il «maestro del brivido», nato nei sobborghi di Londra il 13 agosto di 120 anni fa. Quando gira Psyco, Hitchcock è una star hollywoodiana di prima grandezza. I critici francesi dei «Cahiers du cinéma» da tempo lo acclamano come grande autore. Dopo La donna che visse due volte (1958) e Intrigo internazionale (1959), il regista sceglie di portare sullo schermo il romanzo di Robert Bloch. La Paramount però lo aveva già scartato («Troppo ripugnante per un film») e non gli concede il budget delle produzioni precedenti. Hitchcock insiste e si assume tutti i rischi: sceglie il bianco e nero e gira negli Universal Studios con la troupe della serie tv Alfred Hitchcock presenta. Siamo tra la fine del 1959 e l’inizio del 1960. Il budget è di 80 mila dollari; l’incasso della programmazione nelle sale americane sarà di 32 milioni.
«È l’esperienza più appassionante di gioco con il pubblico che ho fatto», Hitchcock confesserà compiaciuto al regista francese François Truffaut nella lunga intervista pubblicata in Il cinema secondo Hitchcock (il Saggiatore). Un gioco costruito alla perfezione: il furto del denaro («si ricordi come ho insistito sui 40 mila dollari»), la fuga, il viaggio in macchina, l’impeccabile tensione, l’arrivo al Bates Motel, l’incontro con Norman Bates (Anthony Perkins), il colloquio sotto gli occhi degli animali impagliati alle pareti. E poi l’omicidio della protagonista, nei primi 50 minuti del film. Marion sotto la doccia, l’inquadratura del bocchettone, l’avvicinarsi dietro la tenda di un’ombra di donna, la tenda che si muove, si apre, il braccio armato che si alza, lo stridere dei violini. E una veloce serie di inquadrature condensate in pochi secondi (78 inquadrature e 52 tagli). «È un omicidio che è come uno stupro», commenta Truffaut. Una scena dalla violenza inaudita. Ma mai una sola volta vediamo la lama toccare il corpo dell’attrice (o meglio della sua controfigura), non una goccia di sangue sul coltello. Tutto si costruisce nella nostra mente grazie a una magistrale opera di montaggio, al dettagliatissimo storyboard del graphic designer Saul Bass (autore anche dei titoli di testa) e alla musica del fedele Bernard Herrmann. «Le riprese sono durate 7 giorni e ci sono state 70 posizioni di macchina per 45 secondi di film». Il resto è inciso su pellicola (e ora anche in digitale) nella storia del cinema: una costellazione di citazioni, omaggi, rifacimenti, e imitazioni.
La morte di Marion in Psyco è solo uno degli innumerevoli omicidi commessi nei film di Hitchcock. Il grafico qui sopra ne conta 86 (considerando quelli di personaggi principali e comprimari) a cui si aggiungono 8 suicidi (come quello nel finale di Omicidio!). Il metodo degli assassinii di Psyco – sotto i colpi del pugnale cade (dalle scale) anche l’investigatore privato Arbogast in un’altra scena di maestria registica – è uno di quelli più comuni, usato anche ne Il club dei 39, ne L’uomo che sapeva troppo, in Intrigo internazionale... Nove gli strangolamenti, come l’assassinio di Miriam ripreso inquadrando le lenti degli occhiali della vittima in L’altro uomo; l’omicidio di David, con una corda, che dà inizio a Nodo alla gola; i delitti commessi utilizzando una cravatta dal serial killer di Frenzy. E poi le cadute, talvolta accidentali, da grandi altezze. E anche uccisioni più «impersonali» per mezzo di armi da fuoco (33).
Ma gli omicidi nei film di Hitchcock solo raramente avvengono in modo rapido. Un certo sadismo da parte del regista? Oppure un intento morale? Parlando dell’uccisione di Gromek, accoltellato, picchiato e infine spinto in un forno a gas e asfissiato ne Il sipario strappato (1966), Hitchcock dirà: «Con questa lunghissima scena ho voluto innanzitutto prendere in contropiede lo stereotipo. Di solito, nei film, un assassinio si svolge molto velocemente: un colpo di coltello, un colpo di fucile, il personaggio dell’assassino non si sofferma nemmeno a esaminare il corpo per vedere se la vittima è morta o no. Allora ho pensato che fosse arrivato il momento di far vedere quanto è difficile, arduo e lungo uccidere un uomo». Alla fine è questione di tempo – «Non pensa che il tempo al cinema non dovrebbe mai avere alcun rapporto con il tempo reale?» —, di costruzione cinematografica dell’emozione dello spettatore, di tensione, di suspense. A proposito di Psyco, Hitchcock dirà: «La mia grande soddisfazione è che il film ha avuto un effetto sul pubblico, ed era la cosa a cui tenevo di più. Credo sia una grande soddisfazione utilizzare l’arte cinematografica per creare un’emozione di massa. E con Psyco ci siamo riusciti».
Il cinema del maestro del brivido è giocato sulla differenza tra sorpresa (una bomba che scoppia all’improvviso) e suspense (un ordigno che lo spettatore ha visto ma che i personaggi ignorano e prima o poi dovrà esplodere). Hitchcock ricerca quasi sempre la seconda e, nel farlo, coinvolge lo spettatore in un gioco di complicità («dov’è possibile il pubblico deve essere informato») costruito nei minimi dettagli, anche oltre la mera costruzione del film. Un certo ruolo hanno pure i trailer, le frasi celebri (tra tutte: «Alcuni film sono pezzi di vita, i miei sono pezzi di torta») e le apparizioni nei propri film. La tradizione del cameo inizia con Il pensionante (1927) – «il primo vero “film di Hitchcock”», come lui stesso lo ha definito. Il regista appare due volte: nella redazione del giornale e poi in mezzo ai curiosi. All’inizio è una questione prettamente funzionale: «Bisognava riempire lo schermo», ma «più tardi è diventata una superstizione e infine una gag». Una gag ingombrante che rischia di interferire con l’emozione. E allora Hitchcock tende ad anticipare, cercando di apparire nei primi minuti.
Ed ecco i tasselli del mondo di puro cinema costruito da Hitchcock. Un mondo di delitti, voyeurismo, ossessioni innocenti risucchiate in vortici di sospetto, donne immerse nel mistero, viaggi (meglio se in treno)... Un mondo che è specchio di quello reale. In uno stile inconfondibile e con il gusto di sconcertare il pubblico.