La Stampa, 4 agosto 2019
In Asia i turisti occidentali fanno i finti mendicanti per viaggiare gratis
Chennai (india). Il cartello scritto con pennarello su un cartone ammicca: «Ciao, sono Sergey, sto viaggiando in Asia da 5 mesi. Hong Kong è stupenda ma così costosa. Purtroppo, ho finito i soldi. Ti prego, aiutami». Lo vedi lì, il russo, con quel sorrisetto furbo e simpatico, capello corto, barbetta lanuginosa sotto al mento, un po’ hipster, guance e naso lucidati dal sole. Magari ci pensi anche. Ad aiutarlo. Poi lo trovi due mesi dopo in short, canottiera e sandali. Cartello identico, ora anche in cinese. Dice che sta viaggiando nel continente, ma per 10 mesi. Si vede che il business del mendicante funziona. E va di moda.
In Asia, l’epidemia di falsi turisti nei guai sta diventando un affare serio. Li hanno definiti «begpackers», unendo «begging» (chiedere l’elemosina) e «backpacking» (fare i saccopelisti). Saccopelisti-mendicanti. Le strade di molte capitali asiatiche, da Bangkok a Seoul, sono sempre più ingombre di ragazzotti biondi, castani, rossicci, dagli occhi azzurri o verdi, a volte un po’ straccioni, ma spesso con vestiti freschi d’acquisto. Chiedono aiuto. E che c’è di male? In realtà molto, perché in Paesi come Cambogia, Laos, Vietnam, Malesia, India, Indonesia e Tailandia il livello di fastidio per questi finti mendicanti è un problema a volte sanzionabile, se recidivo, con un mese di prigione.
Bambini sfruttati
Una coppia di giovani mendicanti russi è stata arrestata in Malesia perché, elemosinando, tirava in aria un bebè col pannolino, stringendolo per i piedi. Il video fa rizzare i capelli. E ha fatto scattare la polizia. Poi c’è Party Big Ben, il tedesco Benjamin Holst che per impietosire mostrava una gamba gonfiata dalla macro-distrofia lipomatosa. Racimolava così 1500 euro, che spendeva in prostitute e alcol. La stampa tailandese l’ha soprannominato «il tedesco più odiato in Tailandia». Deportato. Un’altra tedesca è stata espulsa perché mendicava con una bimba nel passeggino, giurando: «Mi hanno rubato la carta del bancomat». Per due anni di fila.
Questi sono i casi più noti, ma, in media, si tratta di un esercito di turisti della finta povertà vissuta come status symbol, come esperienza cool, scelta ideologica, sfida al sistema. Frotte di ragazzi bianchi che riempiono le strade di implorazioni: «Aiutaci a viaggiare attorno al mondo», «Giro del mondo senza soldi! Aiutateci». «Sostieni il nostro viaggio attorno al mondo». Come se il giro del mondo fosse un diritto inalienabile. C’è la coppietta carina che vende abbracci, chi le foto delle vacanze. Alcuni chiedono spicci, ma hanno smartphone e macchine fotografiche da centinaia di euro. Vengono da Paesi occidentali ricchi, chiedono l’elemosina nei Paesi poveri. Esternano quell’entusiastica, positiva e simpatica complicità globalista da millennial della società liquida e precaria. Allegramente liberi di vivere la loro fantasia da orientalisti, approfittando di un retaggio del colonialismo: il complesso d’inferiorità, inconscio, verso i bianchi.
I nuovi figli dei fiori
La moda persiste da anni, ma ha raggiunto lo zenith, irritando sempre più asiatici. E ha responsabili specifici. Primi fra tutti, i begpackers che nei blog insegnano le loro tecniche e invitano ad imitarli. C’è chi ci prova con le collette su GoFund o Kickstarter. Chi la butta sulla beneficenza, come l’osannata Laura Bingham, che nel 2016 ha girato in bicicletta tra i poveri per 7000 km, senza mai pagare un euro. Il «Guardian» l’ha intervistata acriticamente come pioniera di tendenza. Rob Greenfield ne ha tirato fuori un reality per «Discovery Channel» che si chiama «Free Ride» (La scroccata): un avventuriero di professione per 72 giorni twitta i suoi viaggi gratis rubando lavoretti a poveri che ne hanno realmente bisogno. Il tutto sulla scia di un moderno Grand Tour, di una Wanderung sentimentale, di quei percorsi, dal romanticismo al decadentismo, che portano all’evasione e alla fuga. «On The Road» per ipocriti mendicanti: ribellione al comfort borghese, ma sulla pelle dei Paesi ancora in via di sviluppo.
La rabbia dei residenti
Se ancora non afferrate il problema, è per una questione di prospettiva culturale. Chi vive in Asia, e vede quotidianamente esempi di vero bisogno, non riesce a capacitarsi del livello di cattivo gusto e scarsa etica di questo glamour del viaggio a scrocco. Chi vive in questo modo, nella maggior parte dei casi, non è un vero turista in difficoltà. Per questi ci sono i consolati. Sono giovani che «fanno i poveri» su Instagram per rendersi interessanti, provenienti spesso da contesti familiari abbienti o benestanti. Vengono spesso da Paesi nordeuropei o dalla Germania, dove la disoccupazione giovanile è al 7,7%, la più bassa in Europa. Insomma, è una posa.
Sui social tailandesi li odiano: «Pigri», «disgustosi», «imbarazzanti», «patetici». Un commentatore riassume il tema: «Ci sono così tanti poveri in Tailandia che hanno davvero bisogno di elemosina. E non per farsi un viaggetto. Odio questo genere di turisti». Un australiano si vergogna: «Se puoi permetterti un volo, puoi permetterti di stare a casa e risparmiare finché puoi pagarti andata e ritorno e albergo».
Il problema scatena le ire di Raphael Rashid, bengalese trapiantato da anni in Corea del Sud. Professione: «begpacker buster», acchiappa saccopelisti-mendicanti. Rashid perlustra Seoul postando video di begpackers, che denuncia alla polizia. «È un imbroglio, è illegale, è un insulto ai poveri e ai turisti veri. Il viaggio è un lusso, non una necessità. La povertà non è un’esperienza cool. Fanno leva sul complesso d’inferiorità che alcuni asiatici hanno verso i bianchi, trovando incomprensibile che il “potente occidentale” sia in una posizione inferiore di povertà o disperazione. Appare come una situazione sbagliata cui rimediare aiutandolo. Ma è tutta una recita».
Pure Nandini Balakrishnan, commentatrice indiana, sul gruppo Facebook di denuncia «Begpackers in Asia», in un video, grida: «Se vengo a fare la begpacker nel vostro Paese, mi deportate subito come clandestina! È disgustoso. Smettetela di approfittare della nostra gentilezza fingendo d’essere poveri qui da noi dove la povertà c’è davvero. Tornatevene a lavorare!». O, come dice l’opinionista Majda Saidi: «Il dibattito esiste perché si tratta di bianchi. Un mendicante occidentale, ma dalla pelle scura, in Asia non verrebbe proprio considerato, mentre i begpeckers di pelle scura in Europa si chiamano profughi». —