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 2019  agosto 04 Domenica calendario

Mihajlovic impartisce allenamenti dall’ospedale

Non è solo particolarmente complesso allenare una squadra in una camera sterile, mentre si combatte una leucemia acuta, è assolutamente inedito. Eppure Sinisa Mihajlovic ci sta provando. Lo scorso fine settimana, dopo la pallida sconfitta del suo Bologna contro il Colonia, in videochiamata ha inveito con giocatori e staff: «Noi stavamo cenando – rivela un dipendente rossoblù – eravamo in un’altra stanza, ma le urla si sono sentite eccome. Beh, buon segno, significa che il mister è in forma».
E non è poco, per un uomo che ha già perso diversi chili da quando ha iniziato la chemioterapia. Ma la squadra, durante il ritiro, Mihajlovic non ha mai smesso di seguirla. La tecnologia dà una grossa mano, perché direttamente dal letto d’ospedale, al Sant’Orsola, dove è ricoverato dal 15 giugno, Sinisa via mail sta in contatto con i suoi ragazzi. Segue in diretta, davanti al pc, gli allenamenti, le partite, e riceve i dati del lavoro quotidiano da Davide Lamberti, il video analista di uno staff che prova a muoversi come se Sinisa ci fosse. Ma Sinisa non c’è.
O meglio, c’è, però a distanza, con tutti i problemi cui lo costringe la malattia. E infatti le riunioni con lo staff e la squadra, più spesso solo con lo staff, sono state sin qui ricorrenti, ma non hanno cadenza quotidiana. Perché a volte Sinisa è provato e può capitare che il previsto contatto venga rimandato, l’attesa videochiamata posticipata.
«Dopo il ko col Colonia – ha rivelato Roberto Soriano – era furente e ce l’ha detto chiaramente». In squadra c’è un patto: «Il regalo che possiamo fargli è renderlo orgoglioso di noi e dunque occorre che ognuno dia qualcosa in più». Non c’è solo la consapevolezza del calvario che il tecnico sta affrontando, c’è anche un senso di profonda gratitudine. Lo spiega Dzemaili, che è il capitano e di solito parla per tutti quando dall’altra parte del telefono c’è Miha. Ma chi se la sente ha comunque facoltà di parola. «Senza il suo arrivo – così lo svizzero – nessuno sa dove saremmo oggi».
E qui si torna alla cavalcata della squadra fra fine inverno e inizio primavera. Dirompente quanto insperata. Ma ormai lontana, quasi sbiadita non tanto nei ricordi, quanto negli umori di una città che oggi non può non confrontarsi e convivere con la malattia di Mihajlovic. «L’agenda è profondamente cambiata», ha constatato l’ex prorettore Roberto Grandi, dopo il pellegrinaggio di circa un migliaio di bolognesi a San Luca per chiedere aiuto alla Beata Vergine. «Vedo e annoto la forza che Mihajlovic trae dalla vicinanza umana e appassionata del territorio. C’è grande generosità umana e civile».
La squadra però deve andare avanti battendo sentieri mai sperimentati prima, in questa sorta di autogestione disciplinata. E se più avanti Sinisa, terminati i cicli di cura, potrà tornare negli uffici di Casteldebole, è difficile immaginarlo a breve di nuovo in campo. «Il suo staff sta facendo un gran lavoro», riconosce Dzemaili. Nel dettaglio: un vice che sta cercando alla svelta di imparare l’italiano, perché è serbo e parla il tedesco. Un tattico che sta in panchina e comunica via auricolare con uno dei collaboratori in tribuna, perché la visuale, dall’alto, è notoriamente meno angusta. Un preparatore dei portieri, tre preparatori atletici, il già citato video analista e un altro collaboratore tecnico che si occupa prevalentemente della fase difensiva. L’impressione è che si proceda ma i dubbi sono legittimi e i risultati saranno, come sempre, l’ineccepibile e inevitabile termometro. Gli interrogativi sono molteplici. Il carisma di Mihajlovic è indiscutibile, ma esercitarlo a distanza non è scontato, anzi.
Dopo l’1-3 col Colonia e il suo sfogo, la squadra ha emotivamente reagito battendo lo Schalke. «Di generosi come Sinisa ne ho conosciuti pochissimi», dice uno dei suoi. C’è qualcosa di commovente, in questa vicenda ma anche di terapeutico per lo stesso tecnico. Avere un obiettivo, spiegano i medici, è un ottimo sistema per affrontare una battaglia così impegnativa. Da anni il club, di proprietà di un magnate canadese d’origini italiane, ha uno slogan che è parso spesso in realtà una via di mezzo fra un auspicio e una americanata: we are one. Ma così unito, il Bologna, in questi anni, non lo è stato mai.