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 2019  agosto 04 Domenica calendario

Venezia celebra Fellini

Federico Fellini in costume da bagno gioca maldestro a fare il vitellone con Alberto Sordi, si strappano di mano l’ombrellone, si buttano dallo scivolo dell’Hotel Excelsior. Quella del 1953 è la prima delle diciotto “pillole” degli archivi Luce che accompagneranno i film della Mostra di Venezia (28 agosto-8 settembre), dando l’avvio alle celebrazioni del centenario dalla nascita del Maestro, il 20 gennaio del 1920.In quelle immagini Fellini non è già più il ragazzo che in spiaggia a Rimini restava vestito per la vergogna del fisico scheletrico, come raccontano gli amici d’infanzia nel documentario Fellini fine mai di Eugenio Cappuccio, presentato alla sezione Classici. Nel frattempo «è andato a vivere con Giulietta Masina, che a furia di tortellini lo ha messo in forze», racconta scherzando Alberto Sordi. Non è neanche il giovane che due anni prima del Leone d’argento a I vitelloni aveva consegnato alla Mostra, con tutt’altro esito, il suo primo assolo registico, Lo sceicco bianco. Quel film, che sarà al Lido in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna (con Infinity) già conteneva tutti gli stilemi di un regista dotato di grande coerenza artistica, eppure ebbe una travagliata vita produttiva e un’accoglienza pessima. Lo stesso, superstizioso Fellini lo definì «nato sotto una cattiva stella».Ispirato al clamoroso successo di fotoromanzi alla Grand Hotel, Lo sceicco bianco racconta di due sposini in viaggio di nozze a Roma, dove lei (Brunella Bovi) fugge per conoscere il suo idolo protagonista del fotoromanzo Lo Sceicco bianco (Sordi) mentre il coniuge (Leopoldo Trieste) cerca di tenere nascosta la cosa ai parenti romani che hanno organizzato un’agenda fitta di impegni, in una capitale percorsa dalle marce strombettanti dei bersaglieri. Tra i primi estimatori del film c’è Roberto Rossellini che lo vede al montaggio, «mi attraversavano mille emozioni perché ritrovavo sullo schermo Fellini come lo conoscevo intimamente.Sbalordito, mi sentii vecchio rispetto a lui così giovane...».Alla presentazione della commissione selezionatrice dei film italiani da mandare a Cannes, racconta Angelo Solmi in Storia di Federico Fellini del ’62, «il regista emozionato era poggiato a un termosifone in un angolo, seminascosto, con la sua gran testa di capelli arruffati». Dopo qualche discussione il film viene scelto, sostituito però a Festival iniziato da Guardie e ladri: con «una manovra obliqua?», si chiede Solmi. Il film va allora a Venezia, dove viene ferocemente stroncato «come se tutti si fossero passati la parola», ancora Solmi. Segue un disastro economico, la distribuzione fallisce avverando i timori di chi avrebbe voluto Renato Rascel al posto di Sordi, inviso al pubblico per la carica di crudeltà.Il film evita il macero e sosta in magazzino finché, dopo il successo di La dolce vita, viene comprato nel ’60 dalla Cineriz. Da allora la vita artistica di Fellini conoscerà straordinari trionfi e qualche caduta. Le pillole diFellini in Frames ce la raccontano in istantanee da un minuto, dal ’53 all’88. Se per Eugenio Cappuccio «è amaro constatare che molti di quelli che sono nati dopo la morte di Fellini non ne sanno nulla, si va verso una superficialità atroce rispetto ai grandi del cinema», il grande merito delle “pillole” è di restituirci l’umanità del regista, la dolcezza della sua voce quando porge le frasi agli attori, la cura con cui consegna la protagonista diLe notti di Cabiria («È una piccola sciagurata che fa la vita, spero che le sue avventure vi divertiranno e commuoveranno»), il discorso in un inglese stentato eppure poetico nella notte dell’Oscar a 8 e 1/2 sulle note di Fratelli d’Italia, l’ironia con cui ordina «due fette di pizza e una di vitella», sul set di Giulietta degli spiriti.E poi la conferenza con Ingmar Bergman per il mai realizzato Duet love, il doppiaggio di Casanova con Proietti e Lionello, il ritorno in Laguna nell’88 con E la nave va, il motoscafo inseguito dai fotografi: «I paparazzi li ho inventati io, sono i burattini che salutano Pinocchio».È un Fellini più avanti nel tempo quello che ci restituisce con sguardo personale Eugenio Cappuccio in Fellini fine mai, impreziosito di materiali delle Teche Rai curati da Maria Pia Ammirati. «Per me Fellini è stato tutto. Mio padre era in polizia, mia madre nel sindacato. Lo incontrai nella casa di famiglia grazie alla sorella Maddalena, amica di mia madre. Avevo 19 anni, gli consegnai un mio quadretto, so che gli piacque perché poi lo ritrovai a casa sua. Questo confronto sbilanciatissimo tra un ragazzino e un gigante del cinema creò quel cortocircuito che mi spinse a lasciare Rimini per il centro sperimentale».Oggi invece Fellini «per chi fa questo mestiere è un sestante che serve a mantenere rotta e gusto all’interno di un processo che è un mare caotico di suggestioni». Nel suo film si sofferma sui due progetti incompiuti, il messicano e sciamanico Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna, costruendo il racconto come un giallo, tra i testimoni di queste avventure il sodale Milo Manara, lo scrittore Andrea De Carlo, l’amico Vincenzo Mollica. «Ho cercato una riflessione filosofica su Fellini e sulla sua visione della vita.Se avesse voluto avrebbe potuto girare Mastorna dieci volte. Ha voluto tenerlo come un giacimento aperto, anche per il suo fastidio di mettere la parola fine ai suoi film: nella sua visione artistica le opere migravano l’una nell’altra e anche per questo ho scelto di intitolarlo Fellini fine mai ».