Honoré de Balzac
Robinson, 4 agosto 2019
Il ritorno del feuilletton
(sotto la scheda con i grandi capolavori nati a puntate)
Il feuilleton, romanzo pubblicato a puntate su un giornale, nacque in Francia nel 1836, a luglio; le motivazioni erano finanziarie, non letterarie, e ci fu perfino un morto. Ma presso il pubblico la formula scatenò lo stesso delirio, e la stessa dipendenza, che per i serial tv oggi: forse di più; lo scrittore Théophile Gautier assicurava che “dei malati hanno aspettato per morire la fine dei Misteri di Parigi”, il feuilleton di Eugène Sue.
Nel 1836 dunque, il giornalista e direttore Emile de Girardin, piccolo, pallido, stempiato, dorso bombato, pensò che i giornali costavano troppo. 80 franchi l’abbonamento, quando un operaio ne guadagnava 3 al giorno; per rendere l’informazione democratica, bisognava almeno dimezzare quel costo. Come fare? La pubblicità dipendeva dalla diffusione. Per aumentare e fidelizzare i lettori al suo austero giornale di 4 fogli, Girardin pensò di dedicare uno spazio in basso a un romanzo, da pubblicare a puntate. Gli abbonamenti alla sua Presse esplosero, altri giornali seguirono, e la gelosia affiorò. Girardin era di padre ignoto – non aveva avuto bisogno di un padre per essere ricco, diceva –, e aveva sposato la donna più carina e brillante di Parigi, Delphine Gay, amata dai poeti Lamartine, Vigny, Gautier e anche, si diceva, dal futuro re Carlo X. Un collega, Armand Carrel, mise in dubbio le origini di quel peculio. Girardin lo sfidò a duello (all’epoca si reagiva così a articoli giudicati offensivi o falsi; i giornali avevano una sala d’armi per allenare i propri redattori). Il 22 luglio del ’ 36, all’incontro – pistola, trenta passi di distanza – spararono insieme. Girardin fu colpito alla gamba, e rischiò l’amputazione, Carrel, ferito all’inguine, spirò. Era un repubblicano, un eroe della rivoluzione; tutta la Francia fu costernata, e anche Girardin.
Intanto però la stampa a grande diffusione era nata. E il feuilleton: scrissero romanzi a puntate Balzac, Dumas, Zola, Gautier, Maurice Leblanc ( Arsène Lupin), George Sand (la scrittrice chiedeva sempre: quante puntate?” è una questione di ritmo, e bisogna sapere dove si taglia"). La Sand si faceva pagare più di Balzac, non perché lui non fosse più bravo – come ammetteva onestamente: ma lei si era saputa amministrare meglio. Già nell’ottobre del ’36 Balzac in effetti aveva cominciato la collaborazione alla Presse, ma i suoi romanzi sembrarono troppo audaci e descrittivi: subirà l’affronto di essere interrotto per Dumas coi suoi irresistibili romanzi storici ( Il conte di Montecristo e I tre moschettieri, nel 1844).
Il momento in cui la passione della lettura sfiorò il fanatismo fu con i Misteri di Parigi, pubblicati nel 1842 sul Journal des Débats.
Era conservatore, e i fogli reazionari e estremisti si erano tenuti lontani dal fenomeno ( e lo stesso Marx giudicò il feuilleton “paternalista"). Ma il Journal des Débats era diretto dal 1814 da un genio che quasi tutti conosciamo di vista, quel Bertin l’Aîné che il grande Ingres ha ritratto in un’incongrua redingote, e su una sedia curule, grosso, occhi porcini, dita come artigli: immagine capolavoro della borghesia trionfante. Fu quel Bertin, strenuo, colto imprenditore, a scegliere Eugène Sue dunque, per il romanzo di successo del secolo. È la storia del principe Rodolphe de Gérolstein che, travestito da operaio, salva una prostituta, Fleur de Marie, e si ritrova a frequentare il popolino di Parigi. Anche Rodolphe ha un passato periglioso: una donna fatale, Sarah McGregor, lo ha quasi indotto al parricidio, e, per espiare, Rodolphe perseguita i malvagi e soccorre gli oppressi. È uno dei segreti dei romanzi seriali: raccontare, in ritardo, il passato dei personaggi, cambiandone i connotati. Luca D’Andrea, nell’Animale più pericoloso che Repubblica pubblicherà a puntate dal 9 al 25 agosto, usa a ripetizione ( come un fucile, per colpirci meglio) questa strategia, e i padri, nella sua storia, ci susciteranno molti soprassalti.
È il respiro vasto e fresco della Val Pusteria, la natura incontaminata e in pericolo dell’Alto Adige Süd Tirol, che ci apre il romanzo di D’Andrea – che è, si sa, di Bolzano. La stazione dei carabinieri di San Candido, coi gerani alle finestre, di colpo è investita dall’orrore splatter. L’efficienza dispiegata dallo stato – elicotteri, tecnici, squadre speciali, magistrati – va ormai doppiata col lavoro sui social e le chat, perché c’è l’opinione pubblica da gestire, e da ritrovare – viva, si spera – un’adolescente ecologista. La narrativa a puntate, che aggiunge al piacere della lettura l’attesa, è stata cara alla borghesia, che spingeva sempre in avanti il desiderio – il progresso. Ma anche alla società contemporanea si addice l’ansia del tempo in marcia – se non verso sorti mirabili, almeno intanto verso la vendetta sui cattivi. Eppure il noir di D’Andrea è lambito a sorpresa da zone di tenerezza.
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I capolavori nati come feuilleton
Honoré de Balzac