Il Messaggero, 4 agosto 2019
Addio a Francesco Durante, firma al servizio della cultura
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Francesco Durante (1952-2019) è nato a Anacapri (Napoli).
Facciamo così: diciamo che Francesco Durante si è addormentato nel sole abbagliante e ingannevole di una Bella Giornata anacaprese per andarsene da un’altra parte, irrequieto com’era, altrove ma sempre in cerca del bello. Peché scrivere che per un malore improvviso se n’è andato nella sua Anacapri Francesco Durante, che aveva solo 66 anni e ancora tantissimo da dire e fare e inventare, obbliga a un’acrobazia immaginativa difficilissima. Il 2 agosto era tornato ad Anacapri dal festival di Potenza dopo un ritiro nella Torricella Peligna di John Fante dove si era appartato per concludere il suo ultimo libro.
Francesco era un prisma luccicante e un principe della cultura. Scriveva libri e editoriali, organizzava festival letterari, traduceva autori americani e italoamericani, faceva conoscere alla cultura italiana il minimalismo e ne traduceva gli autori, John Fante, Bret Easton Ellis, Raymond Carver e altri, curava Meridiani su Mimì Rea e Fante, lanciava iniziative editoriali, scopriva talenti letterari, musicali e teatrali, incantava gli studenti del suo corso al Suor Orsola Benincasa sulla letteratura italoamericana su cui ha scritto vari libri: insomma apparteneva alla rarissima genìa dei Kulturträger, «portatori di cultura». Al Mattino, su cui ha scritto solo l’altro giorno un editoriale come sempre mai banale sull’ultimo scempio estetico inflitto a Napoli, arrivò nel 1980, quando era direttore Roberto Ciuni. Aveva 28 anni e già una buona pratica giornalistica, avendo esordito al Messaggero Veneto e al Piccolo di Trieste. Poiché era nato ad Anacapri ma cresciuto a Pordenone, da papà salernitano e mamma caprese, sempre avrebbe conservato quel certo timbro nordico che sulle prime ispirava un po’ di soggezione ai colleghi della cronaca regionale.
TRAGHETTATOREFrancesco amava raccontare che il suo traghettatore verso la lingua e la cultura materiale napoletana era stato Michele Bonuomo, e che memorabili furono i primi anni 80, nella redazione Cultura guidata da Carlo Franco: allora, si realizzò uno dei più ricchi inserti culturali mai visti nel giornalismo italiano, il Mattino del Sabato, con la grafica visionaria di Carlo Monti e una redazione scoppiettante.
Prima prese a collaborare con Tullio Pironti guidandolo verso la scoperta di grandi firme, come Bret Easton Ellis di cui nel 1985 tradusse Meno di zero, segnalando anche da critico letterario a una distratta editoria nazionale la new wave del minimalismo. Ma a un certo punto dovette essere proprio la città, oltre che il giornale, a stargli stretta: nei primi anni ’90 se ne andò a Milano dove per un po’ fu redattore capo nei «femminili» Grazia, La Repubblica delle Donne e Marie Claire. Finché non avvenne, a Capri, l’incontro con Leonardo Mondadori, che lo nominò direttore editoriale della casa editrice nuova fiammante con il suo nome, Leonardo. Anche lì sfornò titoli importanti, come Ninfa plebea di Domenico Rea.
L’IMPEGNOPassò a fare il redattore capo centrale al Corriere del Mezzogiorno, per poi tornare a scrivere sul Mattino, da critico letterario. Ma a assorbire molto del suo impegno era la creatura a cui aveva dato vita sette anni fa con Ines Mainieri, Salernoletteratura, quest’anno arrivato a oltre 30mila presenze in dieci giorni di eventi.