il Giornale, 3 agosto 2019
La ladra che sostituiva gioielli con i dadi da brodo
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Le sono stati sufficienti dei dadi da cucina, per il colpo: rubare gioielli nella centralissima rue Saint-Honoré senza armi né minacce. Pochi passi dal Jardin des Tuileries, cuore di Parigi. Piano ben pensato, un cellulare e due complici. Tanto è bastato a una donna per infilarsi nella lussuosa gioielleria Hermel millantando d’essere una principessa degli Emirati Arabi Uniti e portarsi a casa, senza che il titolare si accorgesse di nulla, una refurtiva del valore tra 1,3 e 1,6 milioni di euro.
L’Arsenio Lupin al femminile si presenta come terza moglie di uno sceicco di Dubai accompagnata da una finta domestica. Chiede di vedere dei preziosi, intavola una trattativa sul pagamento. Un vero gioco di abilità: pochi passaggi, scambio veloce, fuga senza correre. Tutto sotto il naso del gioielliere. Intanto un complice al telefono attende la chiamata per garantire che sarà lui a pagare. Gli è stato chiesto di rispondere più volte, facendo cadere la linea, per distrarre il gioielliere, di modo che la «moglie dello sceicco» possa avere il tempo di scambiare la merce che intanto si è fatta mettere da parte in uno scrigno. Le due si atteggiano, parlano di Dubai, come fossero una la «principessa» e l’altra la sua domestica.
Chiamano al telefono il terzo ladro, che finge di essere il generoso sceicco degli Emirati che pagherà, incaricato del trasferimento via bonifico. Ma la «maga» del crimine ha ormai già sostituito il contenuto dello scrigno – sette gioielli con diamanti – con del semplice dado da brodo Maggi; prodotto lanciato da un avventuriero svizzero di origini italiane nel 1880, il «Maggì» è in una carta dorata anche se costa pochi centesimi. Oltre al danno, la beffa.
Più che la similitudine con i preziosi, è il piano ben congegnato a funzionare. La distrazione, la telefonata, forse un eccesso di fiducia. Difatti mercoledì sera, intorno alle 21,30, la gioielleria di lusso Hermel non si accorge del furto. Solo il giorno dopo, non vedendo arrivare il pagamento promesso, il gioielliere, preoccupato, apre lo scrigno riposto in cassaforte e scopre che i gioielli non sono più lì, scambiati abilmente con dadi da brodo.
La polizia giudiziaria di Parigi, a cui la procura ha affidato le indagini, sbarca all’una del mattino seguente dal gioielliere. Gli investigatori cercano di risalire ai nuovi maghi del crimine. Appena una settimana fa, sempre nella centralissima rue Saint-Honoré, zona turistica della capitale, diversi dipendenti e il patron di un’altra nota gioielleria erano stati legati mentre i ladri rubavano dei preziosi. Due sospetti arrestati poco dopo, con le borse piene. Stavolta, no. Le ladre erano disarmate, convincenti, credibili e abilissime. «Occhi di gatto» in salsa francese, come nel cartone giapponese anni Ottanta.
Certo, il colpo del secolo resta sempre quello di 11 anni fa, quando a Parigi fecero man bassa di gioielli nella prestigiosa Harry Winston di avenue Montaigne: diamanti e preziosi del valore di quasi 100 milioni. La stessa gioielleria era stata rapinata anche l’anno precedente e alcuni divi di Hollywood che qui si rifornivano pensarono di aver perso qualche pendente prenotato. Appena un anno e mezzo fa, cinque uomini in scooter assaltarono invece le gioiellerie dell’hotel Ritz in place Vendôme con mazze e asce. Da Hermel niente violenza, solo un concentrato di «Maggì».