La Stampa, 3 agosto 2019
Intervista a Felipe Massa
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Ha visto la morte in faccia. Felipe Massa è fortunato a poterlo raccontare, «anche se non ricordare nulla mi ha aiutato». Dieci anni fa, 25 luglio 2009, qualifiche del Gp di Ungheria, una molla persa dalla Brawn Gp di Rubens Barrichello gli finì sul casco mentre con la sua Ferrari andava a 250 all’ora. Tra dramma e tragedia il confine fu di millimetri: taglio alla fronte, lesione alla parte sinistra del cranio, commozione celebrale. Buio. E di nuovo luce, dopo nove giorni di ospedale.
Massa, che cosa ricorda da sopravvissuto?
«Niente. E questo mi ha aiutato a tornare in pista, sei mesi dopo, perché se un trauma lo vivi le conseguenze sono maggiori. Mia moglie Raffaela era incinta di Felipinho, è stato più difficile per lei».
L’halo sarebbe servito?
«Nemmeno la Fia è riuscita a stabilirlo, ma è fondamentale in tante altre situazioni. Sono contento di aver contribuito alla sicurezza, anche nell’evoluzione dei caschi».
Tra i colleghi chi le è stato più vicino?
«Rubens era molto preoccupato. Brasiliano, mio amico, si sentiva in colpa. E Schumacher: è venuto in ospedale, mi chiamava spesso, avrebbe anche dovuto sostituirmi».
Da terzo ferrarista di sempre per numero di gare (139), come giudica Leclerc?
«Un po’ mi rivedo in lui, sono stato il primo giovane su cui la Ferrari ha puntato dopo tanto tempo, ho sfiorato il titolo. Ora tocca a lui, scelta azzeccata».
Perché?
«Perché è un fenomeno, un futuro campione. Veloce, intelligente, margini enormi. Ha tutto, purtroppo non ancora una macchina da Mondiale».
Il futuro è suo e di Verstappen?
«Max è più esperto, ma questo è il primo anno in cui dimostra di essere da titolo. Ha aggiunto maturità a velocità e grinta».
Come si spiega questa evoluzione?
«Si cresce. Gli errori sono spariti, magari avere meno competizione interna l’ha tranquillizzato. È pronto per il titolo, manca solo la macchina».
Che cosa succede a Vettel?
«Premessa: per me resta un campione, non si vince così tanto per caso. Però sta vivendo un momento difficile, gli errori costati l’ultimo Mondiale pesano ancora, si sente spalle al muro. Deve e può uscirne, riconquistando critica e squadra con i risultati».
Schumacher, Alonso e Raikkonen erano più forti?
«Michael e Fernando sì, li metto sullo stesso piano».
Ricorderà gli ordini di scuderia: che cosa pensa di quelli ricevuti da Leclerc?
«All’inizio ci stavano, la Ferrari pensava di essere da Mondiale. Ora non avrebbero senso, infatti i piloti sono liberi. Sarà forse ancora numero due, ma Charles è già un leader: sembra timido ma ha la personalità per guidare il team».
Hamilton si è mai scusato per il Mondiale che le ha sfilato a due curve dalla fine nel 2008 a Interlagos?
«Non ne aveva motivo, c’è sempre stato grande rispetto».
È il migliore di sempre?
«Presto lo diranno anche i numeri: il record di vittorie è vicino, credo che batterà anche quello dei titoli. E ci vorrà tempo per rivedere un altro ai suoi livelli: oggi Lewis è “il” pilota».
Non lo prenderebbe in Ferrari?
«Chiunque lo prenderebbe, ma questo non significa che lui ci voglia andare».
Guardi indietro: più rimpianti o gioie?
«Sono orgoglioso di quel che ho fatto in F1, molto più di quanto mi aspettavo da bambino. Sono stato il pilota che è arrivato più vicino al sogno Mondiale senza realizzarlo, ma non ho perso per colpa mia. Mi è mancato un punto».
Perché non ci sono più brasiliani?
«È un momento difficile, manca una categoria per preparare i giovani. Occhio però a Caio Collet, 17 anni, Formula Renault».
Quindicesimo in Formula E: anche lei, come Hamilton, ha un capo che di cognome fa Wolff, la moglie di Toto...
«Mi piace lavorare con Susie nel team Venturi, da ex pilota capisce al volo cosa penso».