La Stampa, 3 agosto 2019
C’è un prete sardo che aiuta i giovani anti Putin
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Esattamente una settimana fa, mentre le forze speciali russe arrestavano e picchiavano i manifestanti antigovernativi facendo precipitare nel caos il centro di Mosca, un nutrito gruppo di dimostranti è scampato alla furia degli agenti rifugiandosi in una chiesa. Li ha accolti un sacerdote ortodosso italiano di origini sarde che vive in Russia da quasi 35 anni: Giovanni Guaita, parroco della chiesa dei santi Cosma e Damiano.
Padre Giovanni, cosa è successo il 27 luglio?
«Non appena iniziata la protesta di fronte al municipio, i poliziotti hanno bloccato l’ingresso della chiesa con una transenna. Gli agenti non solo hanno arrestato più di mille persone, ma sono anche intervenuti brutalmente: picchiavano, ho visto gente sanguinante. A un certo punto i manifestanti si sono trovati circondati e molti di loro sono scappati nei cortili interni. Un gruppo abbastanza numeroso è entrato nel territorio della chiesa scavalcando una recinzione. In totale erano più di 200, molti dei quali giovanissimi».
Che cosa gli ha detto?
«Ho detto loro che erano i benvenuti e che potevano restare tutto il tempo che volevano. Però siccome eravamo nel territorio di una chiesa, li ho invitati a entrare e a pregare insieme per la pace. Abbiamo pregato per tutti, sia per i manifestanti sia per le forze dell’ordine. Poi la sera, quando era già finito tutto, alcuni poliziotti sono entrati in chiesa per chiedere da bere e di sciacquarsi e naturalmente ho detto di sì. Anche questi erano ragazzi giovanissimi. Erano stati tutto il giorno sotto il sole con la mimetica, i giubbotti antiproiettile, i caschi, quindi poveretti erano proprio sudati».
Oggi si prevede un’altra protesta a Mosca. Se dovesse ripetersi una situazione come quella della scorsa settimana sarebbe pronto ad accogliere di nuovo i manifestanti?
«Io sono pronto ad accogliere tutti quelli che vengono e si tratta di un gesto che non ha nessuna valenza politica: è semplicemente cristianesimo, umanesimo, cioè solidarietà verso la persona che è in pericolo. Purtroppo questi ragazzi erano davvero in pericolo, io stesso ho visto delle scene brutali».
Che cosa pensa di questi giovani che protestano contro l’esclusione degli oppositori dalle elezioni comunali del prossimo settembre? Pensa che sia una cosa positiva il loro interesse per la politica?
«Guardi, prima di tutto, erano persone un po’ di tutte le età. C’era persino una signora anziana in carrozzella alla manifestazione, che tra l’altro è stata arrestata. In maggioranza erano però giovani, alcuni ancora minorenni. Io penso esattamente quello che ho detto a loro, cioè che è giusto avere una propria opinione, non entro nel merito se la loro sia giusta o no. Penso che avere una qualsiasi posizione e sostenerla anche quando è difficile, quando è pericoloso, sia legittimo. Per me l’importante, come ho detto a questi ragazzi, è non avere odio nel proprio cuore. Chi odia fa lo stesso errore che fanno quelli che li volevano malmenare».
Sulle proteste di sabato è stata aperta un’inchiesta per disordini di massa. La pena massima è di 15 anni. Non le pare eccessivo?
«Sì, mi pare eccessivo. Trovo che una pena del genere sia incredibilmente crudele».
Lei ha accolto in chiesa i manifestanti in pericolo. L’Italia invece in questo momento chiude i porti ai migranti che fuggono da guerre e torture. Sono questioni un po’ diverse ma con alcuni punti in comune. Cosa ne pensa?
«Ci sono delle similitudini. Aprire, o almeno non chiudere, il proprio cuore verso chi è perseguitato, verso chi vive fame, guerre, credo sia un dovere, non di fede cristiana ma di umanità. Se non siamo capaci di questo, non siamo pienamente uomini. Si tratta dei valori attorno ai quali si è costruita l’Europa, al di là anche del cristianesimo. Se non siamo capaci di non chiudere i nostri cuori a chi soffre forse non siamo neanche europei: stiamo degradando in maniera preoccupante. Penso che come europei, come uomini e come cristiani non possiamo chiudere i nostri cuori, e direi neanche i nostri porti, a chi è in difficoltà». —
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