la Repubblica, 3 agosto 2019
Breve storia del maiale
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Apprezzato a tavola e insieme vilipeso, associato a ogni impurità: miti e riti sul suino che tanto ci assomiglia
EPeppa Pig? Chi lo spiega ai bambini che una volta cresciuta la divertente maialina televisiva, così spiritosa, intelligente e sensibile, sarà servita in tavola? Forse non lei, ma una come lei. Il maiale è un animale istintivamente simpatico, eppure è anche quello più vilipeso, almeno linguisticamente. Dare del maiale o del porco a qualcuno, non è proprio elegante. Eppure una volta pare che Winston Churchill abbia detto: «Mi piacciono i maiali. I cani ci guardano dal basso. I gatti ci guardano dall’alto. I maiali ci trattano da loro pari». Nessun animale è così simile all’uomo come il maiale, e nessun animale l’uomo sente così prossimo a sé come il maiale.
Il Sus scrofa domesticus è un suide addomesticato; appartiene ai mammiferi e all’ordine artiodattili suiniformi. Come il cane, e più del gatto, è un animale da compagnia; gli piace giocare e stare con gli umani; è molto comunicativo e usa il muso come uno strumento di orientamento, poiché è ricco di innumerevoli terminazioni nervose; e poi come noi è onnivoro. Ogni anno nel mondo vengono prodotti oltre 116 milioni di tonnellate di carne di maiale. Non è questo un dato sufficiente a suscitare un persistente senso di colpa verso di lui?
Il maiale domestico viene dal porco selvatico, ovvero dal cinghiale, che sarebbe comparso una trentina di milioni di anni fa, anche se la sua famiglia dei Suidi è probabilmente più vecchia di una ventina di milioni di anni. L’addomesticamento risale a settemila anni fa e si lega alla fine del nomadismo umano; è avvenuto nell’Asia minore e in quella orientale. Così il maiale è diventato un alimento stabile nella dieta degli uomini.
Nell’antico Egitto il maiale è riservato al culto di Osiride, cui è offerto in sacrificio; il suo dio è Seth, divinità demoniaca. Ritenuto immondo, possiede qualcosa di selvaggio, retaggio che non sembra perdere mai nonostante i cartoni animali, i tre porcellini di Disney e Babe, maialino coraggioso. Immondo o no, gli uomini bramano la sua carne; per questo, tra gli animali che appartengono alla casa, è quello a cui gli umani hanno finito per dare meno confidenza.
Facile da nutrire, nel corso del Medioevo è prima di tutto animale del bosco: mangia faggina e ghiande. Quando entra in città, scrive Michel Pastoureau, assume il ruolo di netturbino: si alimenta di rifiuti e di scarti delle case, delle botteghe, delle fiere, e persino dei camposanti. Sporco, repellente e impuro, è tuttavia indispensabile. L’ambivalenza continua, così come il pasto delle sue prelibate carni.
Nell’ebraismo e nell’islam vige un interdetto: non lo si può mangiare. L’antropologo Marvin Harris ha argomentato circa la repulsa: l’allevamento del maiale è incompatibile con lo stile di vita dei nomadi del deserto, mentre appare adatto alle popolazioni stanziali, come avviene a Roma, e poi nelle città della prima modernità; del resto, l’habitat del maiale sono le foreste, mentre si trova a mal partito nelle lande assolate e prive d’acqua, dove vivono i fedeli di queste due religioni.
Quando in Europa le foreste vengono abbattute per ottenere il legname da costruzione per abitazioni e navi, comincia l’allevamento domestico in spazi appositi. Christopher Hitchens ha sostenuto che la messa al bando del porco riguarda la pratica dei sacrifici umani: la sua carne ha un gusto molto simile alla nostra. Plutarco s’interroga sul perché nel mondo greco il maiale è escluso dai banchetti: è forse un animale sacro? Certo, c’è la vicenda di Adone ucciso da un cinghiale; secondo J. G. Frazer il maiale è sicuramente sacro a Demetra e ha che fare anche con Venere. I cristiani lo mangiano, eppure nel Vangelo ci sono molti riferimenti non certo positivi, a partire dalla celebre frase «non gettate perle ai porci» (Matteo); poi il figliol prodigo che caduto in disgrazia diventa guardiano di porci, e soprattutto l’episodio del posseduto di Gerasa, narrato dai tre vangeli sinottici: Gesù ordina ai demoni di uscire da lui e di entrare in una mandria di porci che pascola lì vicino, che subito si gettano da una rupe nel Lago di Tiberiade. I commentatori collegheranno il maiale a Satana, ma anche agli ebrei nelle persecuzioni antisemite del Medioevo. Il maiale incarna il sudiciume, l’ingordigia, la lussuria e la collera; nei capitelli romanici funge da cavalcatura e da esempio dei vizi capitali.
Povero maiale, così vilipeso, eppure così stimato in tavola. Per fortuna anche lui ha un santo protettore, Sant’Antonio, il padre del monachesimo. Tentato da Satana nel deserto, diventa il pronubo del porco.
E l’erotizzazione? Il tema attraversa i secoli, a partire da Circe, che Odisseo incontra nel suo viaggio e che trasforma i suoi compagni in porci, per arrivare sino al romanzo di Rocco e Antonia, Porci con le ali.
Non ultima cosa: il maiale ha anche a fare col denaro, in quanto simbolo di prosperità. Non finisce mai di stupirci, di interessarci, d’assomigliarci. O siamo noi che somigliamo a lui?