la Repubblica, 3 agosto 2019
Intervista a Luigi Fiorillo, l’uomo che guidava il camion in bilico sul ponte Morandi
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Un anno dopo essersi salvato per un soffio sul ponte Morandi, l’uomo del camion verde chiede solo una cosa: smettere di essere visto come un simbolo e tornare a vivere come Luigi Fiorillo, 38 anni di Salerno, residente a Genova, sposato, due figli piccoli.
L’autista più fortunato del mondo, il sopravvissuto che il 14 agosto riuscì a fermarsi a un passo dal baratro mentre il ponte crollava, racconta a Repubblica di aver vissuto un anno in fuga dalla notorietà, inseguito dalle tivù di tutto il mondo e dalla curiosità di chi lo vede come un totem, un talismano della buona sorte in un Paese che ama affidarsi alla fortuna e alla scaramanzia.
Com’è cambiata la sua vita, signor Fiorillo?
«Mi fermano per strada, mi fotografano, mi telefonano in piena notte. Adesso basta, per rispetto dei 43 morti e di chi ha perso tutto».
Fiorillo lavora ancora per la Damonte Trasporti, l’azienda genovese che serve i punti vendita della Basko. Il Volvo con le insegne verdi del gruppo commerciale è stato venduto mesi fa, ma nell’immaginario collettivo è ancora lì, sul ponte, a pochi metri dalla fine. Ha riempito i teleschermi e le pagine dei giornali, ancora adesso colora di verde i disegni dei bambini genovesi. Nessuno ricorda invece l’auto gialla, che nell’ultima galleria prima dell’inferno sorpassa il camion verde e per un’indecisione lo costringe a rallentare. Una manovra che di solito scatena improperi e colpi di abbagliante, ma che questa volta salva una vita. A quell’ora Fiorillo ha già finito le consegne nel ponente di Genova e con il camion leggero e la pioggia sa di avere una tenuta di strada ridotta.
Che cosa ricorda degli ultimi attimi prima del crollo?
«Più mi avvicino a Genova, più la pioggia diventa forte», è la versione che l’autista ha riferito fin dai primi giorni, e che ricostruiamo anche con l’aiuto del suo avvocato, Pietro Bogliolo.
Sono le 11.36, che succede?
«L’auto che mi sorpassa mi fa rallentare, io mantengo la distanza di sicurezza, riduco la velocità. È questo che mi salva».
Poi lei vede sparire nel nulla l’auto gialla e tutte le altre davanti al suo parabrezza.
«Riesco a inchiodare appena in tempo e a fermare il traffico.
Scendo e inizio a correre all’indietro. Sono preoccupato di lasciare il camion con il motore acceso e temo che crolli tutto: quel mezzo è la mia seconda casa».
Fin qui il racconto di una giornata che non avrebbe mai voluto vivere.
Ma al volante torna due giorni dopo la tragedia. Tiene molto al suo lavoro di truck driver, come lo chiama lui. Lo fa per la famiglia. Il 24 gennaio Luigi sposa Ina Medvyedyeva, ucraina, madre dei suoi due figli: una bambina che ora ha cinque anni e un maschio di due anni e mezzo. Danni psicologici?
Sindrome del sopravvissuto?
L’avvocato Bogliolo sta seguendo l’incidente probatorio come parte lesa per Fiorillo e per altri automobilisti rimasti fermi sul ponte subito dietro di lui. Il pm Massimo Terrile li ha fatti visitare per accertare lesioni derivate da quel terribile shock e in questi giorni gli esiti delle perizie dovrebbero essere depositati.
Come sta un anno dopo?
«Bene. Ma come un anno fa, sono sempre della stessa idea: mi piace la riservatezza e non voglio che il mio nome compaia sui giornali. Per questo ho tenuto un profilo basso, per il rispetto dovuto a tutte le persone che sono morte».
La sua storia è uno dei pochi racconti a lieto fine di quel 14 agosto. Era inevitabile che diventasse simbolica.
«Ma lei non immagina che cosa ho passato quest’anno. Un incubo. Con l’avvicinarsi dell’anniversario, chiunque mi vede si sente in diritto di importunarmi, come del resto succede da un anno a questa parte».
Parla dei giornalisti?
«Non solo. Lei non sa cosa significa andare per strada e trovarsi una macchina affiancata che per poco non ti si schianta addosso perché vogliono farti una foto sul tuo camion. Per fortuna non ho più il camion verde».
Questo l’ha aiutata a salvare la sua privacy?
«Con la vendita del camion e con il passare del tempo la pressione è andata a scemare, ma ora non voglio che questa storia ricominci».
Forse vedono in lei un portafortuna.
«Ma sono solo stupidi. C’è gente che invece di pensare alle 43 vittime e al danno che ha avuto una città intera, anzi un Paese intero, viene a cercarmi anche a mezzanotte, mi chiama nonostante sappia che io inizio a lavorare all’una, alle 2, alle 3 di notte, e quindi può ben immaginare che a mezzanotte dormo».
Lavora ancora per il gruppo Damonte? Fa le stesse consegne per Basko?
«Certamente, anche se con un altro camion».
È mai rimasto a casa per problemi di salute?
«Io ho sempre lavorato, dal 16 agosto 2018».
Lei è credente. Chi ha ringraziato per il “miracolo” di un anno fa?
«Ognuno la veda a modo proprio.
Chi è religioso può credere all’angelo custode, chi crede al destino pensi al destino, chi dice fortuna… Fate voi».
Che cosa si aspetta dalla vita dopo aver visto in faccia la morte?
«Mi piace essere importante per la mia famiglia, solo questo».
Che cosa ha raccontato ai suoi figli quando è tornato a casa il 14 agosto?
«Il maschietto era troppo piccolo per capire. Ma la femminuccia conosceva il camion che guidavo io. Quando l’ha visto in televisione fermo sul ponte ha detto: quello è il camion di papà. Ha capito tutto da sola».