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 2019  agosto 03 Sabato calendario

Una fiction su Sordi da giovani

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«M’è capitato il numero 77, le gambe delle donne... me portassero fortuna!». Alberto Sordi si presenta alla Fono Roma per partecipare a un provino di doppiaggio che gli porterà veramente fortuna: diventerà la voce di Oliver Hardy, Ollio. «E pensare che era stato appena cacciato dall’Accademia dei filodrammatici di Milano. Gli avevano detto che non avrebbe mai potuto fare l’attore, per via del suo accento romanesco», ricorda Edoardo Pesce che ora lo interpreta nel film tv Alberto, con la regia di Luca Manfredi.
La storia del grande attore viene raccontata nel periodo iniziale della carriera, tra il 1936 e il 1954, diciotto anni all’insegna di un ostinato impegno per costruire la qualità del mestiere e conquistare la simpatia del pubblico. Il tv-movie, coproduzione Rai Fiction e Ocean Productions, andrà in onda nella prossima primavera per celebrare i cento anni dalla nascita di Albertone.
«È un doveroso omaggio a Sordi – spiega Manfredi —. Così come lo è stato il film tv In arte Nino: in questo nostro Paese abbiamo la memoria corta ed è giusto ricordare questi personaggi. Ho scoperto che gli amici di mio figlio conoscono poco mio padre. Alberto, con il talento e l’ironia, ha incarnato vizi e virtù dell’italiano medio. Sin da ragazzo aveva deciso di fare l’attore, ma il suo complesso era quello di avere il faccione, non era bello come Rossano Brazzi o Amedeo Nazzari...».
Interviene il produttore Sergio Giussani che lo ha frequentato a lungo, realizzandone poi uno degli ultimi film Nestore, ultima corsa: «Voleva rappresentare i difetti degli italiani proprio per farli riflettere». Aggiunge il direttore Rai Fiction Eleonora Andreatta: «Era il simbolo di un’italianità sbruffona, furba, codarda, ma anche capace di grande coraggio».
Figlio del musicista Pietro Sordi, basso tuba al Teatro Costanzi di Roma (impersonato da Massimo Wertmüller), fa le sue prime apparizioni nelle pellicole dell’Italia fascista, poi sui palcoscenici dell’avanspettacolo e i primi successi li ottiene alla radio, nelle trasmissioni di Corrado Mantoni, dove inventa Mario Pio, il compagnuccio della parrocchietta, il Conte Claro, il Signor Dice... «Fu proprio alla radio che lo sentì per caso Vittorio De Sica, di cui Sordi era diventato una specie di stalker per essere preso in qualche film – racconta Manfredi —. Lo convocò e lo coinvolse nel film Mamma mia che impressione, prodotto da De Sica: fu un tonfo nelle sale, ma fu il loro primo lavoro insieme».
La vera svolta è l’incontro e l’amicizia con Federico Fellini (Alberto Paradossi), dallo Sceicco bianco ai Vitelloni e, sul piano privato, l’amore con Andreina Pagnani (Pia Lanciotti): «Lui era molto più giovane di lei – osserva Manfredi – e si potrebbe dire che è stato un toy boy ante litteram. Ma fu un grande amore, durò nove anni, finché lei non lo beccò in un locale a corteggiare una bluebell».
Nel tv-movie anche il Sordi meno conosciuto, i suoi amori e i suoi dolori, la famiglia, la madre Maria, le sorelle. «Non l’ho mai conosciuto e per me è un onore e un timore rappresentarlo – spiega Pesce —. Ho in comune con lui solo il faccione e la romanità, quindi cerco di interpretarlo come una maschera della Commedia dell’arte. Però mi preoccupa il giudizio di Carlo Verdone: ha un tale amore per Alberto che guai a chi glielo tocca». L’ultima scena è il trionfo di Nando Moriconi, l’Americano a Roma, di fronte al piatto di pasta: «Maccarone m’hai provocato e io me te magno!».