Corriere della Sera, 3 agosto 2019
Intervista a Chiara Ferragni. Parla del suo film
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«La differenza tra Instagram e la vita reale? Nella vita, se fai un errore non lo vedono immediatamente 17 milioni di persone». Chiara Ferragni ha 32 anni e 17 milioni di follower. Sui social media (e su Internet) è cresciuta, è diventata famosa, si è abituata alle cose piacevoli e a quelle meno piacevoli di una vita vissuta necessariamente in pubblico, mediatizzata in un Truman Show del quale fino a oggi la regista è stata sempre, e orgogliosamente, solo lei. Adesso però che la sua vita è diventata un film, il documentario Chiara Ferragni – Unposted, la regista non è più lei ma Elisa Amoruso: prodotto da MeMo Films con Rai Cinema, sarà nella Selezione ufficiale – Sezione Sconfini durante la 76ª Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia e nelle sale in Italia come evento speciale il 17, 18 e 19 settembre.
Strano, vero, questo scambio di ruoli?
«Sì, perché su Instagram sei tu la regista delle tue Stories. Ci si espone con attenzione, è più semplice proteggersi, dare ai follower una percentuale minore della tua realtà. Nel film avrei potuto fare a metà, lavoro e privato. Invece è la mia storia, raccontata con sincerità».
L’effetto che le ha fatto?
«Mi ha fatto diventare una versione migliore di me stessa, credo. Mi sono guardata sullo schermo, una cosa che quando ti succede per la prima volta rappresenta uno choc perché un conto è il display del telefono e un altro è lo schermo del cinema. Ho capito delle cose, le ho viste con più chiarezza attraverso gli occhi di Elisa che mi ha seguito».
Una cosa curiosa che ha sperimentato sulla sua pelle.
«Quasi non ricordavo cose che sono successe e che si vedono nel film. Penso di aver capito tanto del mio carattere: mi ha aiutato a conoscermi. Spero che non sia un fattore di choc per gli altri: adesso il 70, l’80% di me è tutto sullo schermo. Ho capito, rivedendomi, che in questi dieci anni ho cercato di trovare la mia identità nel mondo. Questi anni rimarranno in questo film. Vedremo che cosa ne penseranno gli altri».
Al giudizio altrui è abituata: dei fan come degli onnipresenti «hater», gli odiatori che affollano Internet.
«Fortunatamente il mio carattere è abbastanza cocciuto. Nel febbraio 2010 sono andata alle prime sfilate: un pesce fuor d’acqua nel mondo della moda, non sapevo le regole non scritte, quelle che ho dovuto imparare dopo, sulla mia pelle. Mi hanno fatto dei commenti negativi, non come capita di solito su Internet, per iscritto, ma me li hanno fatti proprio in faccia. Peraltro arrivavano anche da persone che reputavo importanti, che stimavo: non ero abituata ad ascoltare commenti così. Però tutte le persone che hanno detto cose cattive su di me sono state in questi anni il mio stimolo più grande, sono grata agli odiatori».
Oltre a Ferragni, al marito Fedez, al figlio Leone, a parenti e collaboratori, nel film ci sono anche interviste con le persone che la conoscono bene: Maria Grazia Chiuri stilista di Dior, Moira Forbes, Silvia Venturini Fendi, Delphine Arnault, Sandrine Crener-Ricard (della Harvard Business School), Diane Von Furstenberg, Eva Chen, Alberta Ferretti. Tutte donne.
«È una donna anche la direttrice della fotografia. Non è stata una scelta, è successo, ma è bello che sia andata così. Alla fine è la storia di una ragazzina che ha creduto nei suoi sogni, il messaggio è che è sempre meglio essere indipendenti. Mia mamma, quando ero piccola, mi faceva sempre tantissime foto, anche se non esistevano i social media era come se ci fossero, per lei».
Che differenza c’è tra essere seguita via Instagram e essere seguita da una cinepresa?
«In questi anni ho ricevuto tante proposte dal cinema, anche dall’estero, ma non mi sono mai sembrate giuste. Mi piace di più l’idea di questo documentario perché sono io. Non so se sarei brava a raccontare le storie altrui. Qui ho raccontato la mia. Il cinema è un medium sacro, Venezia il sogno più grande. Un luogo sacro per i film».