Corriere della Sera, 3 agosto 2019
Usa, Russia e i missili a breve raggio. L’addio al trattato del disarmo
QQ2
Adesso il rischio di una nuova corsa agli armamenti nucleari diventa davvero concreto. E torna – per l’Europa come per gli alleati dell’America in Asia, dal Giappone alla Corea del Sud – il timore di un improvviso attacco missilistico: uno spettro che, finita la guerra fredda, sembrava ormai consegnato ai libri di storia.
L’abbandono del trattato per la limitazione dei missili intermedi (gittata tra i 500 e i 5.500 chilometri) ufficializzato ieri dal Segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, era scontato. I russi hanno ripreso da anni a sviluppare e a schierare nuovi missili di questo tipo in violazione del trattato Inf (sta per Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) siglato nel 1987, poco prima del crollo dell’impero sovietico. Già sei anni fa Barack Obama aveva minacciato, per questo, di denunciare il trattato. E sei mesi fa, il 2 febbraio, era arrivato l’ultimatum Usa: «O questi nuovi missili vengono distrutti entro sei mesi o noi abbandoneremo l’Inf» e costruiremo missili intermedi di nuova generazione.
I russi non hanno distrutto nulla, limitandosi a negare di aver violato gli accordi e ieri, passati i sei mesi, Pompeo ha formalizzato la fine del trattato attribuendo tutte le colpe a Mosca. Il Cremlino agita ramoscelli d’ulivo proponendo una moratoria nello spiegamento di nuovi missili in Europa. Un’offerta respinta dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: «Sono in malafede, offrono un rinvio nello schieramento di missili che, in realtà, hanno già messo in campo». La Nato condivide la scelta degli Stati Uniti di uscire dal trattato e di sviluppare, dopo un blocco di oltre 30 anni, missili di nuova generazione, per contrastare quelli russi e cinesi. Ma non prevede, al momento, di ospitare in Europa i nuovi ordigni americani. Intanto, però, la minaccia russa cresce: i nuovi missili a combustibile solido sono pronti all’uso in ogni momento e quindi è molto difficile, in caso di attacco, predisporre in tempo le difese antimissile.
Il falco John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump, voleva abbandonare da tempo il trattato («senza il quale salta un freno al riarmo nucleare», denuncia il segretario Onu Guterres) ma la sua denuncia non è una spallata voluta dai duri della Casa Bianca. Come detto, anche Obama aveva pensato a un passo di questo tipo e oggi l’ex capo delle forze militari Nato, Wesley Clark, un ex generale impegnato nel partito democratico, giudica la decisione formalizzata da Pompeo pericolosa ma inevitabile perché «il trattato era ormai inefficace»: legava le mani solo agli Stati Uniti, rimasti indietro nella tecnologia missilistica mentre la Russia ha sviluppato sottobanco i nuovi missili SSC-3 che, secondo gli americani, possono colpire a 1.500 chilometri di distanza (Mosca denuncia, invece, una gittata inferiore ai 500 chilometri, irrilevante per il trattato Inf).
Ma, anche se questi ordigni preoccupano molto gli europei, per l’America oggi il vero problema è costituito dalla Cina che, non vincolata dal trattato (32 anni fa i suoi razzi erano rudimentali), ha sviluppato negli ultimi decenni l’arsenale di missili a medio raggio più vasto e moderno del mondo: missili che possono colpire facilmente Giappone, Corea, India e basi americane nel Pacifico. E infatti Trump ieri ha detto che il nuovo Trattato dovrà considerare non solo la Russia: «Vorremmo includere la Cina a un certo punto».
Gli Stati Uniti stanno progettando nuovi ordigni: ora potranno cominciare a sperimentarli. Il primo verrà testato tra poche settimane: una versione terrestre del missile navale da crociera Tomahawk. Un missile terrestre interamente nuovo, invece, arriverà solo tra 5 anni. Presto potrebbe saltare anche il limite ai missili nucleari di lunga gittata: il trattato Start scade nel gennaio 2021. Usa e Russia non stanno facendo nulla per rinnovarlo.