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 2019  agosto 03 Sabato calendario

I dazi alla Cina di Trump fanno male ai mercati

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Donald Trump rilancia ancora lo scontro commerciale con la Cina. E i mercati finanziari vanno a picco. Il tonfo universale delle Borse ha accompagnato l’ultimo tweet-annuncio del presidente americano, diffuso giovedì 1 agosto: un altro dazio del 10% su 300 miliardi di import cinese, che, dal primo settembre prossimo, andrà ad aggiungersi al prelievo del 25% già in vigore su beni per 200 miliardi. A questo punto le dogane americane tasseranno ogni prodotto made in China.
La reazione negativa dei listini si è propagata attraverso i fusi orari. Tokio ha perso il 2,11%; Shanghai l’1,4%. Poi l’Europa. Altra sfilza di segni meno: Milano, –2,41% ha bruciato 14 miliardi di valore in una seduta; Londra, -2,34%; Francoforte, -3,11%; Parigi, -3,57%. Wall Street si è mantenuta per gran parte della giornata su una flessione intorno allo 0,9-1%, chiudendo una delle settimane peggiori dell’anno. Dentro le medie vanno poi considerati i casi di aziende più esposte con la Cina o comunque più coinvolte nel commercio internazionale. Qualche esempio. A Piazza Affari colpisce il calo di Pirelli (-6,9%), Stmicroelectronics (-6,67%) e Ferrari (-4,35%).
La nuova ondata di dazi penalizza le merci di largo consumo, dai giocattoli ai cellulari. Così a New York, per esempio la Mattel, che produce due terzi dei suoi giochi in Cina, ha lasciato sul terreno il 12% in soli due giorni.
Da Pechino, intanto, arriva la prima reazione politica: «I dazi annunciati dagli Usa violano l’accordo di giugno tra il presidente Xi Jinping e Donald Trump per riprendere il negoziato». Segue avvertimento: «Se la misura entrerà in vigore tutte le conseguenze ricadranno sugli Stati Uniti». Vedremo se il governo cinese deciderà di allargare o inasprire i dazi già applicati, che colpiscono, con un prelievo tra il 20 e il 25%, prodotti made in Usa per un controvalore di 60 miliardi di dollari.
In parallelo Trump annuncia un accordo con l’Unione europea che accetta di comprare più carne bovina, «di alta qualità» e cioè senza ormoni, proveniente dagli Stati Uniti. È un segnale distensivo nelle relazioni Usa-Ue, perché l’importazione delle bistecche americane è stata a lungo osteggiata dagli allevatori europei.