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 2019  agosto 02 Venerdì calendario

Intervista a Valentino Garavani

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Imperturbabile, estremamente gentile, preciso con le parole come con le forbici, sguardo delicato al quale nulla sfugge. Valentino Garavani, 87 anni, nel 2007 ha lasciato la direzione creativa della casa di moda da lui fondata 45 anni prima, ma afferma che non sarebbe potuto essere altro che un couturier. Le sue parole scorrono, come un abito, senza alcun ornamento più del necessario e senza timore alcuno della passerella.
L’hanno chiamata Ultimo imperatore, nuovo Giulio Cesare, re di Roma. Lei come si definirebbe?
«Odio le definizioni, preferisco essere ricordato come Valentino».
Un successo che ricorda con particolare emozione?
«Quelli legati alle mie sfilate: erano i momenti più felici. Creare un abito e poi vederlo indossato è ciò che mi piace di più. E poi ricordo la grande sfilata al Metropolitan Museum a New York nel 1984, con una platea incredibile. Che emozione».
La creazione che le ha dato più soddisfazione?
«L’abito della Pace nel 1991. Un vestito bianco con 16 volte la parole Pace scritta in altrettante lingue. Ancora oggi, un simbolo».
Lei è famoso per il suo rosso. Dona a tutte?
«Sì, perché è un melange di colori speciali. Dietro c’è un lavoro molto preciso e attento».
Qual è il suo primo ricordo legato alla moda?
«Gli abiti delle mie cugine di Voghera che andavano alle feste».
Come fa un ragazzo di 17 anni a partire da Voghera e a conquistare il mondo?
«Prende il treno con i soldi del papà, arriva a Parigi, studia quello che ama e riesce a entrare nel mondo della haute couture».
Quando ha capito che ce l’aveva fatta?
«Presto. Due anni dopo che avevamo iniziato, tutte le donne più famose arrivavano in via Gregoriana».
Ha un luogo del cuore?
«Adoro Capri, dove ho avuto per 25 anni una casa. Ci torno volentieri, ricordando i momenti straordinari che ho vissuto in quel paradiso. Lì ho anche festeggiato il mio compleanno con 60 amici».
A proposito di amici, succede che quando si lasci il palco se ne perdano alcuni. È successo anche a lei?
«Non sento di aver lasciato quella ribalta. Sono sempre Valentino, in tutto il mondo. Quanto ai falsi amici non me li ricordo. Ho avuto molto affetto intorno a me e ho costruito una famiglia numerosa di persone che amo».
Con Roma che rapporto ha?
«Sono arrivato a Roma nel 1959 da Parigi. Dopo 60 anni è la città dove ho passato più tempo. L’adoro. Quanto lavoro nel palazzo Valentino, a piazza Mignanelli, e quanti ricordi in ogni strada, in ogni angolo. Come potrei amare una città di più?».
Però anni fa ha deciso di sfilare a Parigi.
«Con Giancarlo Giammetti non abbiamo resistito all’invito, a quel tempo Parigi era la capitale indiscussa della moda. Ma i laboratori di alta moda non si toccano: sono a Roma, con persone che lavorano da decine di anni con noi e con giovani dalla passione incredibile».
Quale stilista la emoziona di più?
«Mi piace molto quello che fa Pierpaolo Piccioli da noi, oggi. La sua ricerca della bellezza è un esempio di continuità col mio lavoro».
E cosa pensa dell’altra sua pupilla, Maria Grazia Chiuri?
«Maria Grazia è un miracolo di energia ed equilibrio tra creatività e marketing».
Come vede la connessione tra moda e streetwear?
«La bellezza è ovunque. Bisogna che il proprio stile vinca sulla volgarità: questo incredibile mercato del cattivo gusto si infiltra sempre più nel mondo dei giovani, grazie agli influencer che propongono scelte ridicole e sbagliate».
Però lei è su Instagram e con 1,4 milioni di follower è praticamente un influencer. Non c’è nessuno che le piaccia?
«No, non voglio essere chiamato così e ci sono influencer e influencer. Per esempio, sono amico di una incredibile stylist, Olivia Palermo. La sua capacità di mischiare vari pezzi è straordinaria e merita il successo che ha».
Non si è mai dichiarato particolarmente tecnologico, c’è una persona che si occupa del suo profilo social?
«Non sono io dietro quel profilo, naturalmente. Però mi piace sapere dei commenti alle foto che l’ufficio mette su Instagram. Mi fa sentire vicino alla gente».
Per strada le chiedono più autografi o selfie?
«Ormai l’autografo è quasi démodé. Solo selfie».
Come inizia le sue giornate?
«Aprendo la porta per far uscire i miei cani che dormono con me».
E come le termina?
«Con una preghiera».
Disegna sempre?
«Altre cose. Differenti e simili. Amo particolarmente i costumi per i balletti, perché bisogna studiarne anche la praticità dei movimenti».
C’è qualcuno a cui sente di poter dire grazie?
«Giancarlo Giammetti è stato al mio fianco dall’inizio. Senza di lui non avrei potuto lavorare con la serenità di cui avevo bisogno».
Cosa si dovrebbe avere nel guardaroba?
«Qualcosa di personale, anche vecchio, ma che ricordi momenti speciali».
Valentino di cosa è goloso?
«Dolci! Dolci!! Dolci!!!».