Il Messaggero, 2 agosto 2019
Il fight club di Finnegan Elder, il ragazzino che ha accoltellato il carabiniere
002QDRQ31
Combatteva a mani nude nel parco con altre persone disposte ad affrontarlo, ogni colpo permesso. Il giovane Finnegan Elder, che è accusato di aver accoltellato il vice brigadiere Mario Cerciello, ha partecipato a questi rituali cruenti in un area verde di San Francisco, dove non è raro che i giovani si riuniscano per sfidarsi. Sfide che ogni tanto finiscono con qualche ragazzo costretto ad andare in ospedale. La storia è confermata da suo zio, l’ex giornalista di Newsweek Sean Elder, che fa da portavoce per conto della famiglia in queste giornate terribili dopo la diffusione della notizia del crimine.
I MEDIA USA
La stampa statunitense si era interessata una sola volta a questa scena da branco selvaggio, quando nel novembre del 2016 in un confronto tra Finnegan e un compagno della squadra di football della scuola superiore Sacred Heart Cathedral di San Francisco, la violenza si era spinta un po’ troppo in avanti. Finnegan aveva picchiato per scommessa il compagno durante una festa di fine campionato alterata dall’alcool e dalle droghe, e lo aveva colpito duro alla testa, al punto di produrgli, secondo il referto della polizia «lesioni potenzialmente letali». Ci sono voluti anni perché il malcapitato potesse guarire completamente dagli effetti della scazzottata, ma alla fine il recupero è stato completo, e oggi il giovane si è diplomato ed è uno studente universitario di buon successo.
LE RASSICURAZIONI
Lo zio Sean assicura che l’episodio non ha lasciato tracce sulla fedina penale di suo nipote, ma l’episodio non è stato isolato. Alcuni compagni di scuola della Tamalpais, il liceo nel quale Finnegan Elder si era iscritto in seguito al trasferimento del padre a Mill Valley, raccontano che il giovane era attirato dal confronto fisico, come se lo cercasse per addestrarsi a combattere. Due di loro chiedono di restare anonimi perché in tempi di esposizione globale su Internet, temono di associare indissolubilmente il loro nome ad una storia di omicidio. Ma dietro l’anonimato, raccontano di un Finnegan dalla doppia identità: socievole e apprezzato dai suoi coetanei, specialmente dalle ragazze; cortese nell’accompagnare a casa con la sua vettura chi ne aveva bisogno dopo la fine delle lezioni. Ma irascibile fino alla rabbia cieca, che spesso sfogava con una guida aggressiva in mezzo al traffico. Non aveva un solo vero amico alla Tamalpais, sembrava non averne bisogno, e sembrava piuttosto che nella rappresentazione della sua vita da lupo selvatico non ci fosse spazio per l’amicizia.
L’IMMAGINE
Le scazzottate erano una specie di esercitazione all’abilità di combattere. Finn le cercava, le provocava con altri studenti, incurante della differenza di età e di corporatura. Era come ossessionato dall’idea di proiettare un’immagine di sé stesso aggressiva e cinica dice uno dei suoi ex amici I tatuaggi esibiti con ostentazione, la tintura di capelli come un divo dell’hard rock, tutto congiurava a costruire l’involucro di un guerriero spietato, nichilista e con nessuna aspettativa rispetto al futuro. In una delle pause scolastiche aveva preso a lavorare per un imprenditore edile, un’esperienza molto comune tra gli studenti statunitensi.
L’INCIDENTE
Sul cantiere aveva avuto un incidente nel quale si è schiacciato un dito, e i medici non sono riusciti a salvarlo e hanno dovuto procedere con un amputazione. Anche quella menomazione, ricordano i suoi amici, era mostrata in pubblico come un segno non solo di virilità, ma di disprezzo della banale conformità di tanti altri suoi coetanei. E persino l’instabilità dell’umore e la salute mentale erano più simulate che reali. «Se l’hanno pescato con lo Xanax sul comodino della stanza d’albergo, non è certo perché un medico gliel’aveva prescritta. Ne ha sempre fatto uso, ma a fini ricreativi, non certo legali».