Libero, 2 agosto 2019
Kerouac prima di Kerouac
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Hanno ripubblicato Vanità di Duluoz (Oscar Mondadori, pagg. 304, euro 15,00 nella traduzione accurata di Miro Silver e introduzione di Nanda Pivano), l’ultimo romanzo “autobiografico” di Jack Kerouac. Duluoz era l’alter ego letterario di Kerouac e il libro copre gli anni della sua giovinezza: liceo, palla ovale, guerra e navi mercantili su cui si imbarcò. In mezzo a tutto questo, alla sua volontà ferma di diventare uno scrittore, irrompe la confessione di liberarsi da quello che sarebbe diventato il suo peggiore cappio al collo: il successo. La sua sensibilità non lo aiutò di certo: «...Capirai che la mia particolare forma di angoscia e tormento mi viene dall’esser stato troppo sensibile con tutte le teste di cavolo con cui ho avuto a che fare». Di certo gli fece intendere ciò per cui poi forse avrebbe lasciato che benzedrina ed altre droghe se lo mangiassero vivo. Per Kerouac il successo fu tossico, una specie di malattia da cui non riuscì a guarire. INGESTIBILE Dopo la pubblicazione di On the road ebbe a che fare con un periodo della sua vita che non riuscì a gestire: ragazze, pubblicità, spot, anticipi, e soprattutto manoscritti rifiutati perchè non possedevano il marchio di fabbrica del primo. Quello della generazione beatnik, per capirci. Fu così che Kerouac si ammazzò di droghe, anche per trovare ciò che gli altri ormai chiedevano da lui soltanto. Una specie di prosa pazza in cui il lirismo facesse da architrave. Scrisse tutti i suoi libri, come Big Sur per citare uno dei più celebri, come se stesse riscrivendo la sua autobiografia. Duluoz fu l’ultimo, quello in cui aveva liberato la prosa fino all’osso.
L’AUTOBIOGRAFIA
Lo dice chiaramente a pagina 84: «Se non dici ciò che vuoi e che ti salta, che senso ha scrivere?». Ma il successo – che in questo libro non esiste neanche in minima parte – resta all’orizzonte come qualcosa che lo avrebbe bruciato alla fine. Una specie di fiamma in cui si sarebbe bruciato le ali: «...e finalmente da ultimo uno scrittore il cui stesso “successo”, lungi dall’essere un felice trionfo come i passati, è il segno del fato In Persona». Questo è un libro tragico, narrato in prima persona, dedicato a una delle tante mogli, la giovane Stavroula. Si narra dei tempi del football, della sua forza nel gioco, dei suoi primi passi nello scrivere da giornalista sportivo, delle sue notti passate a leggere Joyce o Goethe per poi andare a lavorare al giornale la mattina dopo, e sembra di leggere tutto ciò che possa essergli passato nella mente di uno scrittore prima che il suo destino si compisse. Era destino che Jack Kerouac diventasse il romanziere che tutti conosciamo ma pochi hanno intuito tutto il carico: «Nessuna generazione è nuova. Non c’è niente di nuovo sotto il sole. Tutto è vanità». Anche se lo scrittore è stato larger then life, inseguendo la vita a tutte le latitudini. Un po’ come Hemingway.