la Repubblica, 2 agosto 2019
La libertà secondo Matteo (Salvini)
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Se non fosse l’Italia che stiamo vivendo, se ce la raccontassero da fuori, penseremmo che è soltanto un brutto sogno: il luogo della scena, la carica istituzionale del protagonista, la mancanza di qualsiasi reazione dei presenti a un atto di bullismo e di intimidazione da parte di uno dei più potenti esponenti del governo; in realtà, e di gran lunga, il più potente. Ma non lo è, purtroppo, un brutto sogno.Senza volere esagerare, ma anche senza la complice prudenza di chi ormai minimizza tutto per convenienza o per paura, quello che ha ferito noi come giornale e la libertà d’informazione come valore è un altro passo pericoloso verso una deriva che preoccupa, o almeno dovrebbe preoccupare, chi ha a cuore i principi basilari della democrazia e della convivenza civile.Conferenza stampa al Papeete Beach di Milano Marittima.L’uomo forte d’Italia ha una camicia sbottonata sul petto, l’abbronzatura da vacanza, l’aria di chi non ha tempo da perdere con le domande dei giornalisti.Tra di loro c’è Valerio Lo Muzio, che ha 28 anni ed è il videomaker che qualche giorno prima ha documentato per Repubblica la bravata della scorta del ministro dell’Interno: per rompere la monotonia di un pomeriggio da spiaggia, il figlio di Matteo Salvini viene caricato su una moto d’acqua della Polizia di Stato e scorrazzato per mare.Lo Muzio riprende tutto, gli agenti se ne accorgono e lo invitano con modi spicci a cancellare il filmato («O abbassi la telecamera o te la levamo. Guarda che sappiamo dove abiti»). Lui resiste alle pressioni, il video viene messo sul nostro sito, ne nasce un piccolo caso, niente in confronto a Moscopoli o all’autoriciclaggio del senatore e amico Armando Siri, da cui il capo ufficiale della Lega e ufficioso dell’Esecutivo sguscia via con mossa sapiente e svelta: «Errore da papà». Come non capirlo? Chi non farebbe uno strappetto alle regole per far divertire il proprio figlio?Passata la breve bufera, rieccoci al Papeete Beach.Valerio Lo Muzio osa chiedere: «Scusi ministro, si sa qualcosa di chi mi ha minacciato?». L’uomo forte ci ha abituati alla faccia feroce. Gli riesce benissimo, specie quando ci sono di mezzo i più deboli, che siano gli alleati di governo dei 5 Stelle o i migranti dei barconi, donne uomini bambini, non stiamo a sottilizzare. Figurarsi un videomaker impertinente. Ascoltate come lo rimette subito in riga: «I figli devono essere tenuti fuori dalla politica. Attaccate me, lasciate stare mio figlio».Ma non è questo il punto, ministro. Nessuno ha attaccato suo figlio, neanche nominato. Il problema è con tutta evidenza il comportamento della sua scorta, che è composta di uomini dello Stato, che è anche il nostro Stato; è di tutti, lo Stato, non di chi di volta in volta vince un’elezione. Macché, il ministro ripete a raffica: «I figli vanno lasciati fuori. Non parlo di figli e di bambini.Punto». Poi, non pago dell’ennesima distorsione della realtà, l’uomo forte va all’attacco. Un attacco brutale, personale, ingiustificato, inaccettabile. «Lei che è specializzato», sibila cupo a Lo Muzio, «vada a riprendere i bambini, visto che le piace tanto». Per inciso, il figlio incolpevole del ministro ha sedici anni, un ex bambino. Ma non stiamo a sottilizzare. Bambino è più efficace, e quindi bambino sia. «Mi sta dando del pedofilo?», chiede allibito il videomaker. Qualcuno dei colleghi, invece di sostenerlo, si schiera coraggiosamente dalla parte del Salvini infastidito, coprendo con un «ma basta» le insistenze del giornalista che fa per Repubblica le domande che professione vorrebbe chiunque facesse. Il brutto sogno, che brutto sogno non è, si conclude con una battuta persino più volgare, se possibile, dell’insinuazione che l’ha preceduta: «Andiamo insieme in pedalò. Visto che sei maggiorenne, ti posso invitare».Prima che la riunione si sciolga, Carmelo Lopapa, sempre del nostro giornale, si rivolge al vicepresidente del Consiglio, nonché ministro dell’Interno, nonché plenipotenziario della Lega, nonché aspirante primo ministro di un’Italia a misura di superuomo, e gli chiede lumi sugli ultimi malaffari di Gianluca Savoini, il ministro ombra degli affari esteri del capo, sede distaccata Hotel Metropol di Mosca. « Repubblica mi diverte un sacco», si congeda Salvini, con la camicia macchiata di sudore. «Se voglio ridere, leggo il vostro giornale». Non si preoccupi, onorevole. Le garantiamo risate grasse finché ci sarà possibile, e finché le sarà possibile liquidare le domande scomode con un grugnito o una minaccia. Ci ricorderemo comunque questa data, primo agosto 2019, e questo luogo, Papeete Beach.Su quella spiaggia da vacanze all’italiana, abbiamo perso un altro centimetro della nostra dignità e anche della nostra libertà. E per nostra non si intende di Repubblica. Per nostra si intende di tutti, anche quelli che hanno votato e voteranno Matteo Salvini.