il Fatto Quotidiano, 1 agosto 2019
A Cambridge l’abuso sessuale non è reato. I casi vengono insabbiati per il buon nome dell’ateneo
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Università di Cambridge, estate 2018. Sono finiti gli esami e Faye, nome di fantasia, ha un rapporto sessuale con David, un altro studente. Consenziente finché lui, di nascosto da Faye, pratica lo s t e a lthing, la pratica sessuale di sfilarsi il condom senza il consenso del partner, equiparata ad uno stupro. Faye ne resta traumatizzata: smette di frequentare le lezioni per paura di incontrare David, i voti ne risentono. Ma conosce precedenti e statistiche, sa che in questi casi raramente i giudici condannano un “ragazzo prom e tt e n te”: decide quindi di non rivolgersi alla polizia e ripone le sue speranze di giustizia nelle istituzioni accademiche di una delle università più prestigiose del mondo. Aspetta invano per otto mesi, finché, qualche giorno fa, viene informata dal presidente del comitato disciplinare universitario che il suo caso non sarà indagato oltre, perché gli attuali regolamenti disciplinano gli abusi sessuali in maniera troppo vaga. Una conclusione potenzialmente illegale, secondo avvocati e attivisti per i diritti delle donne che promettono di contestarlo. Il paradosso: il regolamento incriminato dovrebbe cambiare il prossimo 1 ottobre, quando entrerà in vigore una nuova procedura in cui l’abuso sessuale è definito esplicitamente come “vio lazione delle regole di comportamento degli studenti”: ma la norma non è retroattiva, e David la passerà liscia. COME TROPPI prima di lui: proprio Cambridge è fra gli atenei con il numero più elevato di denunce di stupro o abusi sessuali. Fino al 2015 le molestie non erano nemmeno contemplate come violazione delle regole dell’ateneo. Fra il 2017 e il 2018, come parte della campagna Breaking the Silence, ‘Rompere il silenzio’, le segnalazioni anonime sono balzate a 173, ma solo 12 sono diventate denunce formali. “Co – me ricercatrice al Queen’s College ho assistito studentesse violentate o molestate nel c am p u s” denuncia sul T el eg ra ph la docente Charlotte Proudman. “Le risposte dell’università sono inadeguate. I casi vengono regolarmente insabbiati dalle istituzioni accademiche, che mettono giovani donne a rischio di violenza sessuale da parte di ben noti stupratori seriali”. La procedura favorisce l’omertà: è l’Università stessa a decidere su quali denunce indagare. E ha un inveterato problema di contesto culturale. “Cambrid – ge è un microcosmo elitario in cui uomini bianchi e privilegiati vengono celebrati per la loro abilità negli sport, le loro conquiste sessuali e l’apparte – nenza a esclusivi club privati, noti per la loro feste a base di consumo sfrenato di alcol e mol esti e” continua Proudman. La storia ha fatto il giro del campus, dopo una approfondita ricostruzione del giornale universitario Varsity che ha rivelato come anche un secondo caso di violenza sia stato liquidato dal comitato disciplinare. E ha riattivato un dibattito latente anche sui social. Con tanto di aperta derisione da parte di Uk Men’s Rights Action, formazione dichiaratamente antifemminista con oltre 12 mila followers su Facebook che chiede uguali diritti per uomini e donne e si batte contro la “femminilizza – zione dei luoghi di lavoro”.