Corriere della Sera, la Repubblica, 1 agosto 2019
In morte di Raffaele Pisu
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Chiara Maffioletti sul Corriere della Sera
Avrebbe voluto costruire una barca a remi, Raffaele Pisu. Aveva detto che gli sarebbe piaciuto farlo per disperdere le sue ceneri nel mare di quella Sardegna che è nel suo cognome e che è stata sempre nel suo cuore. L’attore, 94 anni, nato e cresciuto a Bologna (il papà era sardo), è morto la scorsa notte, nell’hospice di Castel San Pietro Terme dove era ricoverato da qualche tempo. Ma la sua mente, fino all’ultimo, ha continuato a viaggiare, con un carico di ricordi che sarebbe bastato a riempire tre esistenze ma anche uno slancio rivolto sempre al futuro.
Pensava al suo prossimo set, avrebbe dovuto iniziare a girare a ottobre un film diretto da suo figlio Antonio, Addio Ceausescu. Il regista ha ricordato il suo papà fuori dal comune ringraziandolo per «avermi reso per sempre quel bambino con un sacco di avventure stupende da raccontare, vissute insieme». E di avventure, Pisu, ne ha fatte davvero tante. Già prima di iniziare la sua lunghissima carriera. Le sue carriere, anzi, perché sono state molte, diverse e calate in un percorso in cui non sono mancati intoppi, pause e riprese. Ancora prima di iniziarlo, era stato un partigiano: nel 1943 era finito arrestato dai tedeschi che lo avevano tenuto prigioniero in un campo di concentramento per più di un anno.
Una volta rientrato a Bologna, la decisione di fondare un teatro, La soffitta. Un’idea nata non certo per fare soldi, come era solito ricordare («anche perché in quel periodo proprio non ce n’erano»), ma per passione. Che è poi quella che l’ha mosso fino alla fine. Lui che, dal teatro alla radio, aveva lavorato con Wanda Osiris e le sorelle Nava, per poi conoscere la popolarità attraverso la tv: nel 1961 con Gino Bramieri e Marisa Del Frate era il volto di L’amico del giaguaro. Poi è stata la volta di Ma che domenica amici, Senza rete, La trottola con Corrado, Vengo anch’io, dove debuttò con il pupazzo Provolino, sua spalla comica di enorme popolarità: la muoveva lui con la mano. Il successo era solido, le sue parodie riuscitissime, la carriera avviata. Eppure, nel 1969, improvviso era arrivato il silenzio. Aveva raccontato: «Fu un momento di grande disgrazia... decisi di andare in Sardegna. Comprai una Carpigiani, di quelle che fanno i gelati artigianali, e iniziai a fare coni e coppette».
Da volto della televisione e del cinema – anche un ruolo drammatico in Italiani brava gente – a gelataio. Ma senza troppe remore. Per più di dieci anni era restato lontano dalle scene. Poi, nel 1989, il ritorno alla grande fama, al fianco di Ezio Greggio in Striscia la Notizia. Ma quando la strada sembrava di nuovo tracciata, un altro tornante, ed ecco iniziare la terza o quarta vita di Pisu: «Mi avevano fatto una diagnosi: hai pochi mesi di vita. Ho venduto tutto, ho preso mia moglie e mio figlio e me ne sono andato ai Caraibi. Per morire al caldo. Ma quando ero lì ho cominciato a stare meglio: la diagnosi era sbagliata». A Santo Domingo si era fermato nove anni. Altri nove anni lontano dal video prima di tornare a Bologna.
La sua storia più recente era fatta di teatro e di ruoli in alcune fiction, da Non ho l’età (2001) a Don Matteo 6 (2008). Nel mentre, Paolo Sorrentino lo aveva voluto per Le conseguenze dell’amore. Infine, l’ultima, grande, avventura: scoprire di avere un figlio adulto, quando stava per compiere 90 anni. «Si è presentato con una lettera della madre... L’ho subito riconosciuto e lo amo come se lo conoscessi dalla nascita», aveva detto. A ottobre, sul set, assieme al fratello, ci sarebbe stato anche lui.
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Antonio Dipollina su la Repubblica
Aveva 94 anni ed era malato, Raffaele Pisu, ma nello scorso autunno si era presentato in carrozzina alla Festa del cinema di Roma per il restauro di Italiani brava gente, livello altissimo del cinema d’epoca (1965) al quale lui partecipò strappandosi a forza la maschera comica adorata dal pubblico tv: molti anni dopo, 2004, prese del resto un Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista, chiamato dall’astro nascente Sorrentino, per Le conseguenze dell’amore: era un giocatore d’azzardo in rovina, baro, ma compuntissimo, al cospetto di un Servillo spietato. Per dire che alla morte di Pisu, ieri mattina a Castel San Pietro, fuori Bologna — dove era nato, vero nome Guerrino, da padre sardo — l’inseguimento a mettere insieme una vita frastagliata come poche altre ha fatto ammattire parecchi, ma a fin di bene. Partigiano, deportato quindici mesi in un campo tra Germania e Olanda, poi il ritorno a Bologna, la fondazione di un teatro con le due lire che c’erano (La Soffitta), la prima radio, poi Roma, le commedie in teatro, il varietà, Wanda Osiris e il top in circolazione. In famiglia, il fratello Mario, attore di un certo rilievo — e il figlio di Mario, Silverio, cantante e attore nel giro milanese del Derby nonché voce delle celebri Fiabe sonore della Fabbri editore.
Raffaele invece comico, anzi brillante da subito, ragazzone tutto energia e ammiccamenti come se piovesse: guardare per credere i reperti sul web delle sue avventure tv per venti milioni di persone allora, L’amico del giaguaro con Bramieri- Del Frate — soprattutto — Senza rete, anche una Canzonissima, quel pupazzo in braccio, detto Provolino: non da ventriloquo, ma da animatore, le voci prima di Oreste Lionello e poi di Franco Latini, a segnare che in tv c’era una sola cosa e convergevano sull’obiettivo i migliori. Quel Provolino in braccio era simboleggiato dal tormentone "Boccaccia mia statte zitta", ovvero la battuta sapida era già partita e bastava fermarsi al momento giusto e Pisu a tappare la bocca al pupazzo. I grandi ridevano come matti, i bambini erano in estasi e correvano a farsi comprare Provolino: in una clip web Pisu e il fagotto tirano bordate da paura alludendo alla droga che gira nel mondo dello spettacolo più, a seguire, riferimenti politici pesanti. Magari era il 68 là fuori, più probabilmente al grande pubblico arrivava solo l’insieme divertente — comunque altri canali non ce n’erano e in ogni caso nessuno ricorda Provolino come un agitatore, anzi. Attivissimo nelle pubblicità — era la voce dell’omino Bialetti della caffettiera — in radio, a teatro. Al cinema, a parte i casi nobili citati, solo musicarelli e poco altro, si dice per il suo caratteraccio ma poi chissà. Fino all’oscuramento improvviso, che coincide con l’esplosione delle tv private — nelle quali comunque lavorò — poi un periodo lontano dall’Italia e, nel 1989, la prima Striscia la notizia versione Canale 5, con Ezio Greggio. Due anni e via, ma era l’inizio di quel lungo periodo fatto di recuperi in cui gente tosta, alla Ricci o Sorrentino appunto, lo rivoleva con sé. La sintesi migliore è quella del figlio Antonio, regista, che ieri ha scritto in lode della sua famiglia unita: "Eravamo proprio belli tutti e tre insieme. Abbiamo riso, sperato, sperperato e goduto. Insieme. Sempre". Tre anni fa, a 91 anni, Pisu allarga felice questa cosa della famiglia: va in tv da Barbara D’Urso e racconta di aver appena scoperto di avere un altro figlio, da un amore giovanile. E il racconto dell’uomo che gli bussa alla porta, lascia una lettera e scappa via è tra le cose migliori mai narrate in quei pomeriggi in tv. L’altra televisione, quella virata sul vintage, lo aveva pure cercato ancora, ma — aveva raccontato in un’intervista — lo rivolevano con Provolino in braccio. Non faceva per lui, ma capiva benissimo quella richiesta: "C’è la crisi, ci sono poche speranze sul futuro: ma anche il più povero ha dei ricordi". E il senso finale è più o meno quello.