il Giornale, 31 luglio 2019
Clemente J. Mimun si racconta
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«Mi dicono: considerati fortunato per come è andata, perché sei ancora vivo. Io invece sono arrabbiato e non riesco a rassegnarmi. Non penso a quello che mi è rimasto, penso a quello che ho perso. E quando sento quelli che ringraziano Dio, mi chiedo di che cosa lo dovrei ringraziare...»
Clemente J. Mimun non è uomo da pensieri e frasi retoriche. Mai direbbe «c’è tanta gente a cui è andata peggio...». Lui non si consola affatto e, a otto anni da quell’ictus (il 24 giugno del 2011) che lo ha trascinato in fin di vita, è ancora furente per quella parte sinistra del corpo che non funziona più come prima. «È ovvio che se penso al mio amico Lamberto Sposini, dovrei sentirmi fortunato, ma io resto furibondo per lui. E per me». Però «la testa mi funziona ancora come prima, mi consente di lavorare e questa è la cosa più importante».
Direttore del Tg5, di cui è stato fondatore insieme a Mentana, da 12 anni e prima del Tg1, del Tg2 e di RaiParlamento, un quarto di secolo alla guida dei notiziari televisivi italiani, Mimun è un appassionato «biografo» dell’Italia da quando aveva 17 anni. Divisivo, combattente, anche spietato con «i nemici», è stato accusato negli anni a guida berlusconiana di numerosi «delitti» giornalistici. Nulla lo ha mai spaventato... Tranne quella volta che ha cominciato a girargli la testa e a pendere a sinistra...
«Quando sono stato fulminato sono stato preda di pensieri molto, molto cupi. Da bomba d’energia quale ero, mi sono ritrovato ad essere semi paralizzato. Attorno a me avevo i volti sgomenti della mia famiglia, che però è stata decisiva per indurmi a non mollare. Insieme ai medici e fisioterapisti del Santa Lucia, ai tanti amici, a tutta la dirigenza Mediaset, a Silvio Berlusconi, un fuoriclasse anche sul piano umano, che mi è subito venuto a confortare».
Quel 24 giugno è stato uno spartiacque, com’era il Mimun prima e com’è quello di oggi?
«Tranne il fatto che non posso più sfrecciare sulla Harley Davidson e fare lo scemo in giro come prima, non ho cambiato il mio stile di vita. Addirittura ho ripreso a fumare. Non credo che si debba rincorrere il record mondiale della longevità. L’importante è vivere seguendo i propri istinti. Come dice quel motto? Non si può vivere da malati per morire sani...».
Ma la Harley che fine ha fatto?
«L’avevo presa in prova il giorno prima dell’ictus, perché me la volevo regalare per il mio compleanno (che cade il 9 agosto). È tornata al concessionario...».
Però almeno avrai pensato di stare più vicino alla famiglia...
«Ma va, più vicino di così non è possibile. Poi i miei due figli, Simone e Claudio, sono grandi: stanno percorrendo le loro strade, il primo in medicina e il secondo nel campo della musica, in maniera egregia, senza il mio aiuto. E mia moglie continua a collezionare lauree importanti e a fare la giornalista».
Immaginare di lavorare meno? Di avere meno responsabilità?
«Figuriamoci. Al mio risveglio dall’ictus ho chiamato l’azienda per chiedere di essere sostituito alla direzione del Tg5. Come risposta mi è stato spedito un computer per fare le riunioni via skype... Io ho il culto del lavoro, è la mia passione, non ne posso fare a meno. Alla mattina mi alzo contento perché so che andrò a lavorare. Faccio così da quando avevo da 17 anni, mi piaceva da redattore, inviato, direttore».
Prima o poi lascerai il Tg5? Nel caso a chi?
«Ovvio che accadrà, più poi che prima... Il Tg5 non è mio, ma del suo pubblico e di una azienda editoriale, Mediaset, che offre la massima libertà ai professionisti che fanno informazione. Chi mi succederà lo decideranno i vertici. Penso, però, che all’interno dell’azienda ci sia più d’uno che lo possa fare».
Hai detto che, come Vasco, starai «sul palco» fino alla fine... Il tuo amico Mentana invece ci ha raccontato che sogna un futuro ai giardinetti...
«Enrico ai giardinetti? Stavolta ha detto una balla... Io lavorerò finché ne avrò la forza e qualcuno vorrà sfruttare le mie capacità. E come Vasco, un genio che mi onora della sua amicizia, non staccherò mai. Se voglio riposarmi un po’ raggiungo un altro mio grande amico, Mogol, e ci facciamo delle gran belle chiacchierate...».
Tu sei entrato in Rai nel 1983, dietro una segnalazione importante (del socialista Martelli) dopo aver fatto un lunga gavetta. Oggi, come allora, anche se bravi, per entrare in Rai bisogna essere segnalati...
«Premesso che non si dirigono tg per un quarto di secolo in virtù di antiche segnalazioni, osservo che oggi neppure le raccomandazioni sono sufficienti. Con la crisi del settore non si fanno proprio assunzioni. Le nuove norme sul precariato sono assurde e rendono difficilissimo, se non impossibile, l’inserimento dei giovani. È un dramma al quale non dobbiamo rassegnarci. E, per quel che posso, farò sempre di più per dare una mano ai ragazzi bravi, che sono tanti».
Qual è la differenza – se c’è – tra la Rai di quando c’eri tu e quella di oggi occupata «manu militari» dalla Lega e dai 5 Stelle?
«Ad ogni cambio di maggioranza il leitmotiv di chi vince è fuori i partiti dalla Rai e poi puntualmente si massacrano per poltrone e sgabelli. È accaduto anche stavolta. Dunque niente di nuovo sotto il sole. Ma la mia impressione è che all’opposizione sia rimasto poco o nulla. E questo è sbagliato».
Cosa pensi del Tg1 attuale, tu che l’hai diretto per tanti anni?
«Al Tg1 invidio solo Vincenzo Mollica, un fenomeno per capacità, altruismo e caparbietà. Mollica ha fatto moltissimo per la sua azienda e per la cultura popolare italiana e spero che la Rai se ne ricordi. Così come spero che cantanti, musicisti, attori e registi decidano di onorarlo in modo straordinario come ha fatto il Presidente Mattarella, attribuendogli l’onorificenza di commendatore della repubblica. Quanto al Tg1, lo inseguiamo da vicinissimo e mi fa molto piacere Il Tg2 mi piace e poi gli sono più affezionato».
Si è detto che l’eccesso di populismo in alcune trasmissioni Mediaset abbia favorito in qualche modo la Lega...
«Ma veramente qualcuno pensa che le scelte politiche degli italiani, che somigliano a quelle dei cittadini americani e di molti altri paesi europei, possano essere determinati da trasmissioni tv? Chi la pensa così è fuori dalla realtà».
Come vedi il futuro di Berlusconi in vista di possibili elezioni?
«Berlusconi era, è e sarà un grande protagonista. Non è uno che molla. Potrebbe limitarsi a fare il saggio, ritagliarsi il ruolo di riserva della Repubblica, ma non è nel suo stile. È un combattente per il quale vale il motto dei Blues Brothers, Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare».
Nei tuoi tanti anni ai vertici dei tg ti hanno accusato di moltissime «nefandezze», soprattutto di fare il gioco del centro destra. Rifaresti tutto quello che hai fatto? C’è qualcosa di cui ti sei pentito?
«Quando non sei di sinistra qualsiasi incidente, o gaffe, viene ingigantita. Venticinque anni fa me ne facevo un cruccio, da molto tempo prendo in considerazione le critiche serie e me ne sbatto degli attacchi faziosi».
Ma tra tutte, qual è la critica che ti ha fatto più male?
«Ricordo quella più ridicola: quando volevano sostenere che i morti nelle manifestazioni in Libia fossero colpa mia a causa della maglietta con le vignette anti Islam indossata dal ministro Calderoli nello spazio del Dopo Tg1, che tra l’altro gli spettatori non videro».
A proposito di attacchi, ti è mai successo di essere preso di mira in quanto ebreo?
«Chi ha provato molti anni fa – e sono stati pochi – ad offendermi per motivi religiosi, ha avuto modo di pentirsene. Da ragazzo mi è capitato di picchiare anche di brutto. Io sono orgogliosamente italiano, amo Roma, la mia città, la Lazio, che è la mia squadra del cuore. E sono di religione ebraica. Porto rispetto a tutti e mi faccio rispettare».
Tuo padre e tua madre si sono conosciuti in Tunisia, dove tuo padre si era rifugiato per sfuggire alle persecuzioni razziali fasciste. Dal Nord Africa partono migliaia di migranti che sfuggono a sofferenze di tutti i tipi e molti muoiono in mare.
«Gli ebrei sono stati costretti per millenni ad andare a vivere ovunque. Bisogna accogliere in modo equilibrato, ma anche aiutare chi ha bisogno nei propri Paesi. Non sopporto il fatto che il Mediterraneo si sia trasformato in una fossa comune. Questo grande esodo non verrà fermato da nessuno. Mi fa schifo un’Europa che non affronti e risolva un problema che non è solo italiano, ma di tutti. E invece fanno il gioco del cerino, che vergogna!».
Cosa ti raccontò tuo padre sulle persecuzioni?
«Papà mi ha insegnato che la libertà va conquistata giorno per giorno e che non bisogna tollerare persecuzioni verso nessuno. L’antisemitismo cresce un po’ ovunque, ma monta anche l’odio verso i cristiani in molte aree del mondo e altre minoranze vengono minacciate. Se i grandi del mondo – mai leadership furono tanto scarse – continueranno a fare orecchie da mercante lasciando che questo avvenga nell’indifferenza generale saranno guai serissimi per tutti».