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 2019  luglio 31 Mercoledì calendario

I figli degli ebrei tedeschi vogliono tornare a casa

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Brexit fa paura. Tanta da far rinascere il desiderio di chiedere un passaporto tedesco ai discendenti britannici degli ebrei tedeschi fuggiti dalla Germania nazista. Anche questo, pur di restare nella Ue. I numeri sono abbastanza eloquenti: nel 2015 erano appena 43 i britannici che aspiravano alla cittadinanza tedesca mentre nel 2017 erano diventati 1667, quasi 40 volte di più. Del resto la Costituzione della Repubblica federale all’articolo 116/2 prevede che le vittime della Shoah fuggite dalla Germania nazista tra il 1933 e il 1945 possano chiedere e riottenere l’antica cittadinanza tedesca. O almeno così dovrebbe essere. Daniel Alberman con sua sorella Deborah e suo fratello David hanno deciso insieme di chiedere la cittadinanza tedesca pochi mesi prima di Brexit. La loro mamma – ebrea tedesca fuggita negli anni 30 in Inghilterra insieme ai genitori – aveva dato il suo consenso. Il primo moto di orgoglio delle radici tedesche lo avevano provato nel 2015 di fronte alla scelta della Germania di aprire le porte ai siriani in fuga dalla guerra. “Eravamo felici di essere parte di tutto questo” ha detto Daniel alla Frankfurter Allgemeine Zeitung. “Eravamo europei” prosegue Daniel, che per lavoro si occupa di progetti Ue.
Purtroppo l’entusiasmo di tanti come lui si è sbriciolato di fronte al rifiuto della domanda. E il numero di richieste respinte è stato così significativo e l’esperienza del respingimento così dolorosa che a fine 2018, a Londra, è nato il gruppo “Article 116 exclusion group”. Un’iniziativa per chiedere al governo tedesco di “rispettare fino in fondo lo spirito dell’articolo 116”.
Sylvia Finzi è figlia di una donna tedesca di famiglia ebraica arrivata a Londra a 21 anni come domestica e poi sposata a un ebreo italiano. Finzi ha raccontato al Guardian che “era una cosa emotivamente difficile decidere di prendere la cittadinanza di un paese che era pronto a uccidere mia madre insieme ad altri 6 milioni di ebrei. Poi quando ho visto che sono stata esclusa perché mia madre aveva sposato un non tedesco, non l’ho mai presentata” ha detto. “Perché espormi a un rifiuto così umiliante?”. Le ragioni della non accoglienza delle domande da parte delle autorità tedesche sono banali e freddamente ancorate a leggi ormai lontane dalla nostra comprensione. Uno dei casi più frequenti di respingimento è che il richiedente fosse tedesco per parte di madre. Fino all’aprile 1953 infatti la cittadinanza tedesca si trasmetteva solo per via paterna. In altre parole chi è nato da madre ebrea tedesca prima del 1953 non è a tutt’oggi considerato abile a diventare cittadino tedesco per via di sangue. Un’altra ragione è l’essere nati fuori dal matrimonio da padre ebreo tedesco. Anche in quel caso il legislatore della fine degli anni ‘40 aveva idee molto chiare sui figli illegittimi. Ma il caso più ricorrente e più controverso è l’esclusione nel caso genitori o nonni avessero scelto di prendere un’altra nazionalità. È il caso della famiglia dei nonni di Daniel Alberman che hanno deciso di prendere la nazionalità inglese nel 1939, dopo essere fuggiti in fretta e furia dalla loro casa nel quartiere borghese di Charlottenburg, a Berlino nell’aprile 1933. A quel punto lavorare era diventato difficile anche per un dottore come il nonno Manfred Altmann, padre della mamma di Daniel. In un caso come quello degli Altmann non si rientra nella fattispecie prevista dall’attuale applicazione. L’articolo 116/2 si applica infatti solo a condizione che alle vittime, e quindi ai loro discendenti, sia stata tolta la cittadinanza contro la loro volontà. Questo significa, chiarisce un’avvocatessa che si occupa del tema, che il paragrafo della Costituzione non include coloro che durante il nazismo sono scappati e hanno rinunciato volontariamente alla cittadinanza. Anche se perseguitati. La mamma di Daniel, all’epoca della fuga da Berlino una bimba di appena 3 anni, rimprovera questo alle autorità tedesche: “Si comportano come se i miei genitori avessero lasciato la Germania volontariamente” ma “è una grottesca distorsione della realtà”.
Questa interpretazione restrittiva dell’articolo è la parte più contestata anche in Germania, soprattutto dopo la campagna di stampa delle ultime settimane. Tanto che i Verdi tedeschi hanno depositato una proposta di modifica della legge, da discutere alla ripresa dei lavori del Parlamento, in cui si chiede di rivedere l’applicazione dell’articolo 116. È “irritante” che il governo federale non abbia ancora raggiunto una soluzione sul tema, ha detto il vice-capogruppo in Parlamento dei verdi Konstantin von Notz. “Il fatto che i discendenti dei perseguitati durante la dittatura nazista, costretti a emigrare, oggi vogliano tornare ad essere cittadini tedeschi dovrebbe riempirci di gratitudine”, ha detto. È responsabilità dello Stato “non mettere ostacoli sulla loro strada, ma rimuovere gli intralci giuridici”. Che il dibattito sia diventato scottante anche a Berlino lo dimostra l’annuncio del portavoce del ministero degli Interni: il governo vuole rendere più facile la cittadinanza per i discendenti delle vittime del nazionalsocialismo con un’applicazione “più generosa” e più estensiva delle norme vigenti. Che la storia sia davvero arrivata al lieto fine?