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 2019  luglio 31 Mercoledì calendario

Gaetano Cappelli: «Quel bacio rubato che mi ha fatto diventare scrittore»

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Gaetano Cappelli è nato a Potenza.Come ogni estate ero lì, nel paese dei miei genitori. Studiavo filosofia all’epoca e, nelle vacanze, impartivo lezioni di piano a malinconiche fanciulle e a marmocchi obesi, e per lo più maleodoranti, sparsi nel circondario. E chissà che direzione avrebbe preso la mia vita se la madre di una mia allieva non mi avesse chiesto se volevo sostituire il pianista incidentato dell’albergo del fratello.
Prima di entrare mi guardai nel riflesso della porta di cristallo e assunsi l’aria indifferente che immaginavo dovessero avere i clienti d’un grande albergo extralusso. Un immenso Steinway mi attendeva sulla veranda sospesa su una di quelle vedute abissali che hanno reso Ravello celebre nel mondo. E fu lì, come una visione, che mi apparve Emme Esse.
La noncuranza olimpica con cui attraversò la sala, ne faceva una maga capace di rubare il cuore di chiunque. Il mio poi, ogni volta che scoprivo gli occhi di lei, scintillanti nella penombra, fissarmi, traboccava come un calice in cui sia stato versato troppo vino; e tanto dovevo berne per sopravvivere allo sconforto, ogni sera, quando un giovane stramaledettamente bello veniva a prelevarsela dal tavolo dei genitori. La cosa prodigiosa è che, l’indomani, il gioco degli sguardi riprendeva.
Durante la mattina facevo lunghe nuotate fantasticando su quell’ora di paradiso che mi attendeva, la sera. Finché un giorno, eccola lì, Emme Esse. E con quale grazia pas-seggiava sulla battigia, il corpo flessuoso abbronzato contro la spuma accecante delle onde. Spossato dalla tempesta che prese ad agitarmi, tirai fuori un libro e lo usai come uno scudo per almeno guardarla, rimuginando su chissà quale piano.
Non dovetti scervellarmi a lungo. Sotto lo sguardo ammirato dei bagnanti, Emme Esse attraversò la distanza che ci separava, e venne a sedersi alla sdraio accanto alla mia.
«L’ultima estate di Klingsor! Come ti invidio!» gorgheggiò, «L’ho letto in un momento per me non bello, ma è riuscito a trasportarmi lo stesso in una specie di sogno... ah, che tristezza sarebbe la vita senza i romanzi!».
«Già» assentii, al colmo della mia potenza retorica.
«Ecche darei per scriverne uno!».
«Mai provato?».
«Be’ sì, ma niente: penna secca. Dar vita a un mondo... che meraviglia deve essere» disse. Eppoi sussurrando aggiunse: «Senti, tu lo hai visto, Andrea, il mio ragazzo?... bello, no?».
Toccava ammetterlo.
«Guarda, per uno scrittore io potrei pure lasciarlo».
«Se la metti così: ho già la storia! S’incontrano in un hotel, a Ravello. Lui da pianista di piano bar diventa un famoso scrittore e lei lascia il fidanzato per seguirlo sulla strada della gloria».
«Ahahah... un po’ esile come trama».
«Ma non andò così pure tra Zelda e Fitzgerald?» le sussurrai io, questa volta.
Lei allora mi prese la mano e, con una voce di colpo più roca, mi disse: «Guarda, potrebbe pure succedere» e senza nessun preavviso mi scoccò un bacio.
Oh miracolo! Oh, esaltazione! Oh, estasi! Poteva esserci qualcosa di più favoloso al mondo dopo quel bacio? Cosa accadde dopo, lo ricordo vagamente. Dovemmo tornare insieme sul van dell’hotel ed eccoci lì davanti. L’autista frenò. Lei aprì la portiera e scivolò verso l’ingresso ma, prima di entrare, ruotando sul dorso con un movimento che mi parve rallentato, portò la mano alla bocca e, sorridendomi, vi soffiò sopra un ulteriore dolcissimo bacio: quante volte ho ripensato a quella scena!
Anche a costo di apparire ridicolo – ma c’è qualcosa nella nostra giovinezza che non lo sia? – tanto vale confessarlo: è solo per lei, per Emme Esse che pensai di divenire scrittore; divenendolo poi per davvero.
Da allora, da quella meravilliousa mattina non l’ho mai più rivista – già nel pomeriggio era partita con i genitori. Né più l’ho cercata; neppure, al tempo del mio esordio. Ma chissà che adesso, leggendo di quell’estate lontana, non si riconosca e non si faccia viva lei. Sennò, non mi rimarrà che sperare nell’amore postumo.
nza.