Il Messaggero, 30 luglio 2019
Tony Hadley e Gerardo Di Lella al Roma Summer Fest
[Tony Hadley]
«La coppia non è poi così strana. Tony Hadley, 59 anni, ex voce storica degli Spandau Ballet che ha intrapreso la carriera solista, e Gerardo Di Lella, classe 1964, musicista, compositore e direttore d’orchestra, si erano già uniti in concerto per festeggiare i cento anni dalla nascita di Frank Sinatra, una passione in comune per The Voice, che domani al Roma Summer Fest si espande nel progetto Pop D’Orchestra.
Hadley, sarà una dichiarazione d’amore al pop?
«L’iniziativa su Sinatra fu un successo e abbiamo pensato ad un viaggio musicale per rivivere i bei vecchi tempi, attraverso canzoni mie e di altri che adoro cantare. Per lavorare con un’orchestra c’è bisogno di precisione, non è come con la band, dove puoi improvvisare. Studio ancora molto e credo di essere miglioratomoltissimo».
Quali successi degli Spandau Ballet porterà?
«“Gold” perché la cantano tutti, sembra l’inno di una squadra di calcio. “True” per la tenerezza che crea, “I’ll Fly For You”, perché fu il nostro big bang in Italia. È stato il pubblico più folle del mondo. Ricordo l’assurdo Festival di Sanremo in cui ci strappavano giacche e capelli. Quell’isteria oggi si è trasformata in stima reciproca».
Si parla di un musical sugli Spands nel West End inglese. È stato coinvolto?
«Mi sono licenziato, non ho più nulla a che fare con i miei ex colleghi».
Ha duettato con Caparezza, Arisa, Fausto Leali. Cosa la accomuna agli artisti italiani?
«Il senso della melodia. Di Lella invece è un grande arrangiatore. “Through The Barricades” in questa versione orchestrale è meravigliosa».
Si pensava che degli Anni ‘80 non sarebbe rimasto nulla. Gode di questa rivalutazione?
«Ammetto che in giro ci fossero cose terribili, ma molte altre erano fantastiche e c’è stato bisogno di una distanza temporale per ammetterlo. Io, ad esempio, nel mio programma radiofonico sulla Bbc ho appena passato “Save A Prayer” dei Duran Duran. Bellissima, altro che rivalità».
Non è un tipo nostalgico però.
«Noi ragazzini cercavamo un’identità forte, c’erano solo tre canali televisivi, niente social, bisognava lasciare il segno in un’apparizione. Anche la moda, così eccessiva e colorata, era in fondo un atto politico, di rottura con le convenzioni. Oggi tutto è cambiato, al posto del formato disco c’è lo streaming, ma non posso denigrare la modernità. È solo diversa e io cerco di adattarmi».
Porterà brani del suo lavoro di inediti “Talking To TheMoon”. Lo vide l’allunaggio?
«Avevo nove anni e fu uno stupore condiviso, ma la luna di cui canto è quella romantica, non spaziale. Mi piace passeggiare di notte e farmi domande esistenziali. Anche se lei non risponde, è una nostra importante interlocutrice perché, guardando lassù, i problemi si riducono, capisci quanto sei minuscolo nell’universo».
Nel live ci sarà anche molto swing. Quando se ne innamorò?
«È un genere gioioso, ci faceva compagnia mentre mia madre cucinava il pranzo della domenica. A 17 anni ero pazzo di Clash e Sex Pistols e lei mi disse: “Capisco ti piaccia il punk, ma prova ad ascoltare Sinatra e Bennett, analizza come cantano. Così ho fatto e ora la mia voce ne raccoglie i frutti»» (Simona Orlando) [Mes 30/7/2019].