La Stampa, 30 luglio 2019
Troppo caldo, il Cervino si sta sgretolando
Il Cervino è sotto osservazione ormai da dieci anni per i crolli legati alle alte temperature durante la bella stagione. E i controlli si intensificano, con cinquanta sensori piazzati sul versante svizzero con l’obiettivo di comprendere il fenomeno e ipotizzare evoluzioni future. Il caldo la fa ormai da padrone, come è successo anche quest’anno. Un fenomeno che fa venire alla memoria il 2003. In quell’anno un tratto di 150 metri della via normale lungo il versante italiano, a 3.830 metri di quota, cedette. Sedici alpinisti che pernottavano nella Capanna Carrel sentirono un boato, restando bloccati per poi essere trasportati a fondo valle con l’elicottero. Abbastanza da iniziare un monitoraggio accurato.
Si tratta di un problema che riguarda il permafrost, la terra perennemente ghiacciata che tiene insieme le rocce sulla cima della Gran Becca. Ma anche la stabilità della roccia in generale. La questione è tornata in modo prepotente durante quest’anno, con le lunghe ondate di alte temperature che hanno caratterizzato gli ultimi mesi.
Dice Umberto Morra di Cella, che si occupa di effetti sul territorio dei cambiamenti climatici dell’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Valle d’Aosta: «Le ondate di caldo ad alta quota aumentano le probabilità di crolli. Il passaggio di calore verso l’interno della roccia favorisce lo scioglimento del ghiaccio. Ma non per questo il versante valdostano è più soggetto a crolli rispetto al versate svizzero». Aggiunge il direttore del Soccorso alpino valdostano Paolo Comune, che da tempo invita gli alpinisti alla massima attenzione rivolgendosi a chi si appresta ad affrontare la salita verso la Gran Becca: «Io ho lanciato un appello a tutti gli appassionati perché scelgano con cura i percorsi che intendono affrontare per non prendersi rischi inutili».
Ondate di caldo come quelle che si stanno manifestando in questo periodo possono creare problemi. Qualche giorno fa l’incidente con un salto nel vuoto di 1.400 metri, legati a una corda. Per due alpinisti, una guida alpina cilena e il suo cliente, non c’è stato nulla da fare. Sono precipitati in fondo al versante Est del Cervino, sul lato svizzero. Il roccione su cui erano ancorati si è staccato improvvisamente, complici le altissime temperature. Il lavoro di controllo scientifico avviato sul Cervino viene confermato anche da Fabrizio Troilo, di Montagna sicura: «Si tratta di verifiche che proseguono ormai da molti anni, anche sul versante della Valle d’Aosta».
Ghiacciai che si ritirano, un fenomeno che non si arresta dopo un solo inverno nevoso. Ormai da molti anni la montagna è caratterizzata da crolli sempre più frequenti di rocce, spia che qualcosa sta cambiando nelle profondità del terreno. Già a gennaio del 2009 se ne era parlato a Courmayeur, in un convegno organizzato da Fondazione montagna sicura . «Nel 2003 - diceva Claudio Smiraglia, dell’Università di Milano, uno dei relatori del convegno - ci sono state importanti frane sul Cervino. Il fenomeno è ancora più evidente in una regione come la Valle d’Aosta, per il 4 per cento coperto da ghiacciai. Il terreno scuro assorbe energia, e basta una porzione senza neve per trasmettere calore in profondità».
Il tema è anche quello legato al riscaldamento globale. «Un fenomeno innegabile - diceva Smiraglia - che prosegue da circa 150 anni e ha accelerato in questi decenni». L’effetto delle attività umane è sul banco degli imputati. «Ci sono modifiche legate ai cicli naturali. Ma credo che l’uomo stia dando una bella mano. L’effetto non è solo sulle temperature, ma anche in quanto inquiniamo acqua e suolo. Si sente dire che bisogna cambiare stili di vita, ma tutti vogliono tornare indietro, nessuno lo vuole fare a piedi».