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 2019  luglio 30 Martedì calendario

Zineb El Rhazoui, unica superstite del massacro della redazione di Charlie Hebdo

Braccata da integralisti, criticata da finti umanisti e chierici del politically correct – che in realtà temono solo recrudescenze violente della parte più virulenta della comunità islamica francese – costretta a vivere con una scorta di sei uomini armati e a non dormire mai due notti nello stesso luogo. Per Zineb El Rhazoui, unica superstite del massacro della redazione di Charlie Hebdo, l’inferno non è solo quello raccontato nel suo libro «13 Zineb raconte l’enfer du 13 novembre»(Ring éditions), libro che raccoglie le testimonianze delle vittime degli attentati del 13 novembre a Parigi.L’inferno è anche quello vissuto ogni giorno dopo aver deciso di affilare la sua penna e utilizzarla come arma contro ogni forma di radicalismo e fanatismo. Da allora Zineb è minacciata di morte, in rete circola addirittura una mappa, con relativa geolocalizzazione, dei luoghi frequentati abitualmente e consigli su come assassinare la giornalista «apostata» ed «empia», «prostituta» ed «araba di servizio». L’armamentario degli insulti che proliferano sui social serve solo a giustificare il disprezzo e a piazzare Zineb dalla parte sbagliata della storia: occorre screditarla in tutti i modi e farla tacere quanto prima. Il problema per gli islamisti ed i radicali non è di poco conto: Zineb El Rhazoui è non solo donna e giornalista ma è anche araba (da parte di padre) il che costituisce un mix fin troppo esplosivo. In più è un personaggio scomodo: pungente, velenosa quanto basta, acerrima nemica di ogni fanatismo e paladina del laicismo.
Nel 2016 decide di seguire le orme di Hamed Abdel-Samad (libero pensatore tedesco-egiziano anch’egli sotto scorta che aveva pubblicato un controverso saggio dal titolo: «Il Fascismo islamico») pubblicando a sua volta un libro dal titolo provocatorio: «Distruggere il fascismo islamico». Citando George Orwell («L’ignoranza è il terreno fertile su cui fiorisce la dittatura»), Zineb El Rhazoui parla di strategia di espansione del fascismo islamico in Occidente e di come gli islamisti stiano trasformando i veri democratici in propri alleati sulla strada per la creazione di un’enorme Ummah. Per Zineb nella loro guerra santa all’estrema destra i nuovi «collaborazionisti» del fascismo islamico finiscono per fare il gioco della nuova estrema destra omicida. Ma la sua battaglia non si ferma ad un pamphlet incendiario.
«L’Islam deve sottomettersi alla critica, deve sottomettersi alle leggi della Repubblica», dice in diretta televisiva al canale CNews dopo l’attentato di Strasburgo, per poi rincarare la dose: «Non si può sconfiggere questa ideologia continuando a raccontare che l’Islam è una religione di pace e di amore e che è soltanto il terrorismo che non va bene».
Dopo queste parole, pronunciate fuori dai denti, si scatena l’inferno sui social. Centinaia di tweet, alcuni offensivi, diffamatori, altre invece minacciosi, le piovono addosso inducendo la giornalista a sporgere denuncia. Scatta un’indagine preliminare che grazie alla collaborazione di Twitter porta all’identificazione di ben sei persone di cui due compaiono pure davanti ad un Gip: si tratta di una studentessa e di uno studente di rispettivamente 19 e 20 anni. «Se la becco per strada, la faccio a pezzi», aveva twittato lei. «Vorrei esploderle 46 pallottole in testa», aveva twittato lui. Alla fine, soltanto uno di loro due viene condannato in via definitiva ma se la cava con 70 ore di servizio civile e duemila euro a titolo di risarcimento danni alla giornalista e mille euro di spese legali. La pena inflitta è derisoria. Cosa vuoi che siano duemila euro e qualche ora di servizio civile di fronte ad una vita vissuta all’ombra della sua scorta, all’ombra di quello che era prima di entrare in questo vortice di paura? La vita di Zineb El Rhazoui è costeggiata di minacce, insulti, che invece di farla indietreggiare la rendono anche più aggressiva ed intraprendente.
Non che non fosse già minacciata e osteggiata in patria. Di madre francese e padre marocchino Zineb el Rhazoui denunciava già all’epoca di vivere «in un paese dove non esiste la libertà individuale, dove non si ha il diritto a bere vino o fumare in pubblico durante il Ramadan, dove non si può sposare l’uomo che si ama, dove se ti porti il ragazzo a casa, come successo a me nel 2010, ci si può fare arrestare per prostituzione».
Il filo conduttore delle sue posizioni è però il secolarismo. In Marocco fonda un’associazione per denunciare quelle «leggi sulla libertà di ispirazione religiosa» e dopo un famoso picnic pubblico nel bel mezzo del Ramadan, espressamente vietato dalla legge marocchina, sulla testa di Zineb El Rhazoui si abbatte la prima fatwa e il primo arresto (con relativo rilascio). Nel 2012 entra nella redazione di Charlie Hebdo, nell’anno in cui il settimanale satirico è minacciato da islamisti di mezzo mondo per le famose caricature del profeta Maometto. Le promesse dei fanatici vengono mantenute. Il 7 gennaio 2015 i fratelli Kouachi fanno irruzione in redazione massacrando tutti i giornalisti per rappresaglia. Tutti tranne uno, Zineb appunto, che per caso quel giorno si trovava in Marocco. Unica superstite ma da allora la sua vita non è più la stessa.
«Vivo quotidianamente circondata da uomini armati mentre chi mi vuole abbattere cammina liberamente», dice mentre anche la sua professione di giornalista d’inchiesta è andata oramai a farsi benedire. «Come vuoi scendere in campo circondata da uomini armati?».
Complicato, in effetti. Ma il vero interrogativo è un altro: com’è possibile che nel 2019, in Francia, un’intellettuale francese, laureata in sociologia delle religioni, insegnante di arabo classico e metodologia di scrittura, sia diventata oggi la donna più protetta di Francia?