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 2019  luglio 30 Martedì calendario

Biografia di Vittorio Emanuele III

Di recente si è accesa un’aspra polemica intorno alla figura di Vittorio Emanuele III, penultimo re d’Italia e discendente della dinastia Savoia. Il dilemma riguardava l’opportunità di trasferire le spoglie del piccolo re al Pantheon di Roma. Una scelta ignobile secondo alcuni, poiché il suo nome fu strettamente legato a quello di un altro uomo, a sua volta colpevole di aver trascinato l’Italia nel baratro: Benito Mussolini. In realtà, si conosce molto poco la storia di questo sovrano, mentre le prese di posizione assumono la consueta superficialità di chi vorrebbe trarre un giudizio sommario e del tutto parziale. Vittorio Emanuele III salì al trono nel 1900, quando ancora non ebbe compiuto il trentesimo anno di età. Non fu mai veramente appoggiato da suo padre, il quale vide in questo figliolo piuttosto male in arnese una personalità mediocre, incapace di realizzare grandi progetti e privo di inventiva. In effetti, quel suo caratteraccio non giovò certo alla sua reputazione. Disprezzava tutto e tutti, compreso il figlio Umberto II che guiderà il regno nell’ultimo anno di vita della dinastia Savoia. Fu certamente invidioso della sua popolarità e della sua bellezza. A confronto di costui, Vittorio Emanuele soffriva un terribile complesso di inferiorità. Non molto diverso fu il rapporto con la moglie Elena, una donna raffinata ed elegante, ma dotata di quella sensibilità borghese tipica degli aristocratici nostrani. Il suo atteggiamento, tuttavia, non ebbe nulla a che vedere con certe manie radical chic dei nostri rampolli da salotto. Elena fu una donna di talento, pratica e spiccia perché veniva da una famiglia il cui padre altro non era che un re di pastori, proprio come lo era stato quell’Alessandro di Macedonia e Filippo.

IL TERREMOTO
Nel 1908, a seguito del terribile terremoto che devastò Messina, Elena scese in campo tra le macerie per soccorrere i feriti e, una volta rientrata a Roma, fece preparare nuovi abiti per gli sfollati. La stessa manifestazione di solidarietà la dimostrò nel 1921, in seguito alle calamità naturali che distrussero la Garfagnana. Vittorio Emanuele III, al contrario, non fu popolaresco, se non nella forma. In un’intervista di Alain Elkann, Indro Montanelli ci racconta quella sua esistenza impiegatizia e scialba, priva di spessore politico e intellettuale. Diffidente persino verso la famiglia, non incontrò mai la simpatia della nuora Maria José del Belgio. Fu uomo di caserma, nonché rigido osservatore di quegli ideali militareschi che imponevano l’ordine e una ferrea disciplina. Veniamo ora ai motivi della sua sottomissione al Duce. Come hanno ben descritto gli storici, in quel periodo a cavallo tra la fine della guerra e il fatidico 1922, l’Italia visse un periodo di stallo governativo, di crisi economica e parlamentare. L’impossibilità a rendere governabile il Paese provocò un moto di rabbia in seno alla stessa monarchia. Ma non fu soltanto questo a convincere Vittorio Emanuele della buona causa del fascismo. Accanto alle manifestazioni rivoluzionarie dei sansepolcristi, Mussolini cercava di dare vita a un movimento politico più omogeneo, compromesso con i ceti industriali e la borghesia italiana. Fu questo aspetto ad impressionare e persuadere il re, il quale nutriva da sempre un disprezzo per la democrazia e il carattere anarchico degli italiani, da sempre refrattari a qualsiasi ideale di obbedienza. Sarebbe un errore, pertanto, credere che Vittorio fosse di indole autoritaria. Come molti suoi predecessori, non si sentiva il padrone dell’Italia, bensì, come scrisse lo stesso Montanelli, un piemontese interessato ad ampliare i confini del regno. Fu un novello Camillo Benso, insofferente ai garibaldini.

LO STATUTO ALBERTINO
In politica, dicevamo, era stato un moderato, uno strenuo difensore dello statuto Albertino e della Costituzione. Da buon liberale non chiese mai la promulgazione delle leggi speciali che, nel 1900, quando assunse il potere, avrebbero portato ad un regime di polizia. Nemmeno l’uccisione di suo padre da parte di Bresci lo distolse dal suo impegno riguardante la tutela dell’ordine costituzionale. La scelta del 1922 fu dettata da incoscienza e probabilmente fiducia nelle buone intenzioni di Mussolini. Il re non aveva fiducia nell’Italia e soprattutto negli italiani. La stima per il capo del fascismo crebbe negli anni futuri, tanto che il 9 novembre 1969 Montanelli scrisse: «Il rapporto che legava Vittorio Emanuele al Duce era complesso. Di amicizia non si poteva parlare perché il Re non conosceva questo sentimento, che del resto non è da Re. Ma, sia pure corretta da un sottofondo di diffidenza e di invidia, Vittorio Emanuele nutriva una sincera ammirazione per l’apparente sicurezza di quel domatore di folle, per il suo fiuto politico, per l’ordine da caserma che aveva instaurato in Italia».