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 2019  luglio 30 Martedì calendario

In un libro la storia dei giganti Battista e Paolo Ugo

“Non conosciamo mai la nostra altezza/ finché non siamo chiamati ad alzarci./ E se siamo fedeli al nostro compito/arriva al cielo la nostra statura”. Con ogni probabilità i fratelli piemontesi Battista e Paolo Ugo, da Vinadio (Cuneo), in Valle Stura, non vennero mai a conoscenza dei versi della poetessa americana Emily Dickinson, ma le loro altezze furono comunque molto più vicine al cielo di quelle dei comuni mortali. Battista toccava i due metri e trenta centimetri; Paolo era leggermente più basso, essendo alto due metri e venti. In un suo libro di oltre trent’anni fa, Figura gigante, dedicato ai due fratelli, Nico Orengo scrive che forse i Giganti Ugo, come sarebbero stati chiamati tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento nei circhi come il celeberrimo Barnum, nelle fiere, nei teatri di Parigi e di New York, diventarono famosi forse a forza di coltivare la malinconia per la loro terra, sperando in un loro ritorno. Lasciarono Vinadio per esibirsi assieme ad altre “meraviglie” umane e fenomeni da luna park: nani, uomini cane e uomini elefante, donne mulo e donne scimmia, indiani d’America. Non avrebbero più rivisto le loro montagne. Battista, nato nel 1876, morì a New York il 23 aprile 1916. Paolo, venuto alla luce nel 1886, si era spento a Maison Alfort, nei pressi di Parigi, il 16 febbraio 1914.
I Giganti Ugo, “Les plus grands géants” come recitava una pubblicità, hanno ispirato diversi libri, a cominciare da quello di Orengo, uscito nel 1984. È fresco di stampa, per l’editrice cuneese Araba Fenice, il volume I giganti di Vinadio. I fratelli Ugo di Adriano Restifo, un ricercatore di storia locale originario dello stesso paese dei fratelli Ugo, che presenta una buona documentazione, anche fotografica, proveniente da archivi di Parigi e di New York. Cresciuti in un famiglia di contadini della montagna della Valle Stura, dove al lavoro dei campi si univa, d’inverno, l’emigrazione nella vicina Francia, Battista e Paolo dovettero alla loro anomalia fisica il successo, così come quella malinconia, quello spaesamento, raccontati da Orengo. Il primo a partire fu Battista. Dopo avere frequentato qualche anno di scuola elementare, e avere lavorato per i campi, i prati e gli alpeggi del vallone di Riofreddo, a diciotto anni, quando era già alto più di due metri, con altri ragazzi andò a fare il boscaiolo in Francia. Notato da un impresario, accettò la sua proposta di esibirsi come fenomeno umano nel Nizzardo e nel Marsigliese, tra caffè, baracconi, fiere e piazze. Il nazionalismo transalpino costrinse Battista a francesizzare il suo cognome in Hugo, oltre che a dirsi nativo di Saint Martin Vesubie, un paese situato al di là della frontiera. Funzionò tutto. All’Esposizione internazionale di Parigi, nel 1900, il pubblico decretò il successo del gigante. Nel frattempo pure uno dei suoi fratelli minori, Paolo, era cresciuto tanto da raggiungere i due metri. Perciò si unì a Battista. Gli altri fratelli e sorelle Ugo, cinque, invece, dovettero accontentarsi di altezze normali; uno di loro, Giuseppe, venne addirittura riformato al militare in quanto alto poco più di un metro e mezzo.
Paolo morì a 26 anni, dopo una breve malattia. Battista, dopo la scomparsa del fratello, si trasferì negli Stati Uniti accettando un ingaggio nel circo Barnum, che garantiva “il più grande spettacolo del mondo”. Aveva pensato all’America, narra Orengo, “come alla terra della Libertà, molto prima di entrare in porto, dove sapeva che una signora bianca, madre di tutti i giganti, di qua e di là dell’oceano, gli avrebbe sorriso e illuminato le strade tra i grattacieli”. Non fu così. Malattia e nostalgia lo avvinghiarono. Battista se ne andò pure lui assai presto, ad appena 40 anni, senza rivedere la sua piccola patria. Racconta Adriano Restifo che, all’epoca, si disse che il suo cadavere era scomparso, e che erano stati i suoi amici indiani Sioux a seppellirlo. In realtà si spense di difterite in ospedale e fu sepolto in un cimitero di Brooklyn.