il Fatto Quotidiano, 30 luglio 2019
Biografia di Tonya Harding
Tutto quello che abbiamo lo dobbiamo ai nervosi, a chi non dorme e si contorce la notte, a chi non smette mai di pensare a come trionfare e avere successo, come essere il numero uno e passare alla storia, a come vincere il rifiuto dell’altro o, semplicemente, del mondo. La storia di Tonya Harding inizia così, con un no: quando la madre LaVona la porta a quattro anni dalla sua prima allenatrice di pattinaggio, Diane Rawlinson allo Ice Chalet Lloyd Center di Portland, sulle prime non viene ammessa perché troppo piccola.
Accettata solo dopo le insistenze di LaVona, sei mesi più tardi la piccola Tonya vince la sua prima competizione: è il 1975, e a cinque anni dimostra già tutte le caratteristiche che ne faranno una delle pattinatrici più rivoluzionarie nella storia di questo sport.
Basteranno pochi anni perché diventi un’atleta formata: grande saltatrice, potente e agilissima, a sedici anni debutta ai campionati nazionali d’America e arriva sesta. Poi quinta nell’87 e nell’88. Ma ai giudici, Tonya non piace, è troppo diversa: è sbagliata, fuori dai canoni. Di nuovo, un rifiuto.
Così, pensando di preservare la vecchia scuola, le affibbiano voti più bassi per tenerla fuori dal podio. E non importa quanti salti tripli potrà inanellare, Tonya non ha l’immagine giusta, non viene da una famiglia giusta: la madre è un’alcolista, ha avuto quattro matrimoni (con relativi quattro divorzi), la picchia, da sempre le ripete che è una buona a nulla, che non combinerà mai niente e solitamente si posiziona a bordo pista abbigliata come una gipsy.
In più, Tonya non ha l’eleganza richiesta da questo sport: i costumi che indossa sono terribili: li cuce LaVona stessa e le stanno malissimo, pieni di paillettes e frange, di una taglia più grande che la fanno sembrare goffa.
I cappelli biondo paglia senza chignon, con la coda di cavallo e vistosi fermagli, il tutto corredato da una frangetta tenuta ferma da una lacca da quattro soldi che a metà esibizione smetteva di fare il proprio dovere. Infine, Tonya non pattina nel modo giusto, non fa che saltare.
Dopo gli anni del debutto, l’asma di cui soffre da piccola, le controversie con la madre e con l’allenatrice, le impongono tempi difficili in cui non ottiene risultati. Ma intanto Tonya si è innamorata.
Cresciuta nel marcio, non le piace certo il ragazzo di buona famiglia, né quello che si allena con lei, no, a Tonya piace Jeff Gillooy, che è uno spiantato e un violento. Dopo i sorrisi e le parole dolci dei primi mesi, prende a picchiarla, per poi dirle che la ama e gli dispiace. Tonya non ha scelta, è già scappata di casa, non può che fidarsi di Jeff.
Finalmente arriva il 1991, l’anno di Tonya. Al di là di tutto quello che succerà dopo, Tonya Harding resterà per sempre la prima americana ad aver eseguito il triplo axel (la prima in assoluto è la giapponese Midori Ito nel 1989). Naturalmente dotata di un’ottima propulsione, lavorerà alla preparazione di questo salto – la cui difficoltà consiste nel compiere tre rotazioni e mezzo in aria e atterrare in equilibrio – per otto lunghi anni.
Ai campionati nazionali del 1991, Tonya prende velocità percorrendo l’intera pista, è il momento. Difficile immaginare a cosa abbia potuto pensare. Prima di adesso, ha sopportato pessimi piazzamenti, valutazioni ingiuste, commenti villani da parte di esperti del settore (alla vigilia del Mondiale, quando si era sparsa la notizia del triplo axel, un giornalista aveva scritto “triplo salto o meno, Tonya non è bella da vedere sulla pista”). Adesso, mentre guarda il punto dove atterrerà se andrà tutto bene, pensa alla madre, alle botte ricevute, alla volta in cui la ferì con un coltello, al fatto che ora non si parlano più.
Tonya spicca il salto e… 1, 2, 3… Fatto! È medaglia d’oro alle nazionali, d’argento ai Mondiali di Monaco e di nuovo d’oro allo Skate America di quell’anno.
Come riuscirà questa ventenne, che ora è la miglior pattinatrice d’America, a rovinarsi con le proprie mani è presto detto: per colpa dell’amore. Ma non quello di Jeff, da cui ha ormai divorziato.
Dopo il triplo axel, Tonya si sentirà amata, ben voluta, accettata da tutti. Eppure, la felicità per il momento aureo passerà subito perché la paura di perderlo, quell’amore, le farà commettere il disastro.
Rimasta fuori dal podio alle Olimpiadi invernali di Albertville del ’92, non ci sono sponsor per chi arriva quarta. Riprende ad allenarsi privatamente: deve vincere ancora, deve essere amata! Chiede all’ex marito di assoldare qualcuno per rompere il ginocchio a Nancy Kerrigan, la sua compagna a stelle e strisce, il giorno prima del Concorso nazionale del ’94 per poterlo vincere e metterla fuori gioco per tutte le manifestazioni dell’anno.
Così, il 7 gennaio Nancy è in ospedale e Tonya sul gradino più alto del podio. L’FBI dimostrerà la non estraneità di Tonya all’affaire e, dopo un ottavo posto alle Olimpiadi di Lillehammer dove sarà fischiata a ogni esibizione, verrà bandita a vita dalla federazione sportiva. Nel mentre, Jeff diffonde un loro sextape.
Negli anni a venire, chiederà scusa in televisione a Nancy, andrà ospite in molti show, tenterà la carriera nella boxe, nel canto, reciterà in qualche film scarso e farà di tutto per ricordare al mondo di essere stata una grande pattinatrice. Ma per il severo e incontrollabile tribunale della memoria collettiva – che ha sempre bisogno di qualcuno da amare e qualcun altro da odiare –, Tonya è quella stronza che per vincere ha tentato di far fuori la sua amica/avversaria Nancy… il resto, non conta: un altro no a chiudere il cerchio!