Corriere della Sera, 30 luglio 2019
Intervista a Sheryl Crow
«Il modo di ascoltare la musica è cambiato. Dobbiamo prenderne atto». Sheryl Crow, la cantautrice americana da 9 premi Grammy e 50 milioni di dischi nel mondo, dice stop: non alla creatività ma allo sforzo di «mettere insieme una raccolta di canzoni che abbia un messaggio e una coerenza».
Sheryl (in questi ultimi anni alla ribalta anche per la sua lotta contro il cancro e per una tormentata storia d’amore con l’ex campione di ciclismo Lance Armstrong) continuerà a scrivere brani e a esibirsi dal vivo. Ma Threads, in uscita il 30 agosto, sarà l’ultimo album: per dire addio al formato ha scelto un progetto di brani originali e cover con mostri sacri che l’hanno ispirata – da Keith Richards a Eric Clapton, Bob Dylan e Johnny Cash – così come promesse della nuova generazione.
Prova tristezza di fronte a questa decisione?
«No, anzi. Solo serenità. Mi sembra un’evoluzione naturale e inevitabile. La tecnologia ha cambiato gusti e tendenze. Non c’è più voglia di ascoltare dall’inizio alla fine l’album di un cantautore. Il pubblico si crea il disco che vuole mettendo insieme la playlist che preferisce. È possibile che il concetto di album appartenga al passato, ma sono contenta del risultato di Threads, mi sembra ottimo».
Ci spieghi come è nato.
«È nato senza un concetto chiaro. Lisa Kristofferson tempo fa mi ha chiesto di cantare alcune canzoni di Kris, che non stava bene (ha sofferto della malattia di Lyme). Le ho incise e sono rimasta molto scossa dall’importanza del momento, dalla profondità e l’effetto di alcune collaborazioni. Così ho preso il telefono e ho chiamato le persone straordinarie con le quali ho lavorato in questi 28 anni. Questo album è un omaggio a tutti loro».
Come è stato ritrovarsi? Li ha trovati molto cambiati?
«Non è un aggettivo che mi piace utilizzare ma è stata un’esperienza “cosmica”. Il vortice di ispirazione che si crea stando insieme è difficile da definire o spiegare. Keith Richards ad esempio è un tipo che sembra giocherellare con la chitarra: all’improvviso fa nascere una melodia, un’idea alla quale aggiunge subito altri strati, ed ecco il brano ideale. Per me ascoltare l’album vuol dire anche un po’ tornare indietro alla mia infanzia, ai brani e alle voci che sentivo quando avevo 10 anni e sognavo di fare questo mestiere».
Il suo è un album che guarda anche al futuro.
«É una grande gioia poter passare il testimone di questa tradizione musicale ad artisti che lo meritano. Come Jason Isbell, con il quale ho rielaborato “Everything is broken”, di Bob Dylan».
Qual è il suo rapporto con la musica e gli artisti di oggi?
«C’è gente che ammiro, gente che mi piace di meno. Trovo che sia tutto più “sessualizzato” rispetto al passato. Ho due figli di 9 e 12 anni, forse sono particolarmente sensibile. Ma non vorrei che incappassero nel video di Miley Cyrus (“Mother’s Daughter”). Quando ero piccola la situazione non era la stessa».
Lei, oltre che musicista, è nota per l’impegno sociale e politico. Tra l’altro ha parlato con coraggio della sua battaglia contro il cancro...
«È un aspetto del mio lavoro al quale tengo molto. Abbiamo il dovere di parlare e di instaurare un dibattito sui problemi che riguardano la nostra vita. Torno ai miei figli. Mi chiedono se il mondo sopravviverà ai disastri ecologici che stiamo causando in questi anni. Non è giusto che alla loro età abbiano già paura per il futuro. Sono rimasta molto colpita dalla passione di Greta Thunberg e spero che la generazione che sta crescendo oggi si senta capace di assumere un ruolo attivo: se ci sono problemi che gli adulti non riescono a risolvere, tocca ai ragazzi. Non è un mistero: non ammiro l’uomo che abita nella Casa Bianca. Non possiamo contare su di lui».