Business Insider, 29 luglio 2019
Boom dei trapianti di capelli in Turchia
Un miliardo di dollari. Ecco quanto vale, per la BBC, il business legato al trapianto di capelli in Turchia: nella sola Istanbul si contano più di 400 cliniche specializzate, disposte a compiere il miracolo a 1.500, 2.000 euro, contro i circa 25mila richiesti in Gran Bretagna o Stati Uniti. Ultimamente non è raro incrociare, mentre si passeggia nella metropoli turca, parecchi uomini calvi con la testa stretta in una fascia nera: sono gli adepti di un nuovo culto, o forse è meglio chiamarla la nuova cash cow da spremere fin quando continua a produrre soldi e una bizzarra forma di turismo medico.
Il giro d’affari coinvolge Europa, Paesi Arabi e sta pian piano arrivando anche oltreoceano: da vent’anni esistono cliniche turche altamente specializzate che offrono questo tipo di trattamento, forti del fatto che ovunque nel Paese gli ospedali e i medici sono spesso di ottimo livello, ma solo da qualche tempo a questa parte si può parlare di un vero e proprio boom.
La Turchia, che nel 2016 ha sofferto un calo del turismo vacanziero a causa del golpe fallito e per gli attentati terroristici, è riuscita a trovare una forma – sebbene parziale – sostituiva di rilancio, e per di più in perenne espansione. Si parla di circa 5mila interventi al mese, eseguiti da coloro che in patria vengono chiamati ‘gli allevatori di capelli’ e che si occupano di infoltire pure barbe glabre. Utilizzano tecniche all’avanguardia, grazie al metodo F.U.E. (Follicular Unit Extraction), ossia l’estrazione di unità follicolare, un procedimento chirurgico poco invasivo che consiste nell’estrazione di unità follicolari e nel successivo reimpianto nelle zone carenti di capelli.
I follicoli piliferi (che possono contenere da uno fino a cinque capelli) si estraggono singolarmente, mediante uno strumento di incisione molto piccolo in grado di lasciare cicatrici praticamente invisibili che scompaiono col passare dei giorni. L’intervento si realizza applicando un’anestesia locale nella zona definita ‘donante’, precedentemente rasata; successivamente si selezionano e ordinano le unità follicolari a seconda del numero di follicoli, lasciati immersi in una soluzione fisiologica fino al loro impianto. Per l’inserimento si realizzano minuscole incisioni dove si andranno ad innestare i follicoli stessi, ridistribuendoli seguendo diversi parametri come la densità, il verso e la naturalezza che si vuole raggiungere.
Per rendersi conto della portata del fenomeno, basta googlare ‘trapianti capelli Turchia’ e spulciare tra le decine di annunci messe in evidenza dal motore di ricerca.
L’intervento singolo, che può richiedere un secondo richiamo in base ai desiderata individuali, dura dalle sei alle nove ore e presuppone una permanenza di due o tre giorni post-operazione in loco, in modo tale da tenere la situazione monitorata. Tradotto, i pazienti non generano introiti solo per le cliniche, ma pure per gli alberghi, per i ristoranti e per le attività commerciali, tanto che sono nate agenzie che organizzano viaggi e vendono pacchetti all inclusive, dove ai costi del trapianto si aggiungono viaggio aereo, vitto, alloggio e tour completo di attrattive turistiche.
In tal senso la Turchia risulta una meta appetibile sia per gli arabi – che si recano in un Paese musulmano, per abitudini e costumi religiosi non troppo lontano dal loro e comunque molto più aperto e meno conservatore – che per gli Europei, per i quali il soggiorno prende spesso la piega di una specie di vacanza.
In un articolo pubblicato lo scorso febbraio sul Corriere della Sera, Michelangelo Borrillo racconta la storia di Marcello Martiriggiano, 34enne titolare dell’agenzia Aratravel ad Aradeo, comune con meno di 10 mila abitanti in Puglia. Martiriggiano, ex miracolato sulla via di Instabul nell’ottobre del 2012 presso la clinica del dottor Serkan Aygin, dal 2015 ha lasciato perdere i viaggi vacanza e si occupa esclusivamente di turismo medicale: cura dei denti in Albania, chirurgia plastica in Repubblica Ceca e, soprattutto, trapianto dei capelli in Turchia. Attraverso il suo sito trapiantocapelli.it e grazie a un contratto di esclusiva con la clinica del dottor Aygin, organizza trasferte che comprendono trapianto più soggiorno di tre notti in hotel a quattro stelle a 2.650 euro.
«Noi guadagniamo sul volo e sul servizio di prenotazione in clinica», spiega Martiriggiano, sciorinando numeri da capogiro: Aratravel accompagna a Istanbul circa 400 pazienti al mese, di cui la metà italiani, 150 spagnoli, una ventina di brasiliani, con un’alta stagione che va da ottobre ad aprile. Il che non stupisce: dati i sei mesi necessari per vedere i primi risultati, il trapianto si fa d’inverno apposta per sfoggiare la capigliatura ritrovata d’estate, quando diventa impossibile nascondere la calvizie sotto a un cappello.
«Ormai, a livello complessivo — continua Martiriggiano – il mercato italiano conta 7mila viaggi all’anno. Che per una media di oltre 2mila euro a viaggio, portano a un business da 15 milioni di euro».
Secondo i numeri di Aratravel, la maggioranza dei clienti sono campani, laziali e pugliesi: non a caso, il volo Bari-Istanbul di Turkish Airlines inaugurato nell’aprile del 2015 è cresciuto in tre anni del 28%, con una frequenza che è salita da quattro a cinque voli settimanali e con un load factor (coefficiente di riempimento dell’aereo) arrivato all’82%.
Le motivazioni che spingono 7mila italiani ogni anno ad avventurarsi in Turchia sono assai lontane dalla semplice vanità. L’alopecia oggi interessa il 50% degli uomini con un’età media di cinquant’anni: i primi segnali si hanno a partire dai venticinque anni, quando uno su quattro inizia a soffrire di tale patologia, e la cifra aumenta col passare del tempo.
Di questi casi, il 98% soffre di alopecia androgenetica, una condizione ereditaria che genera la perdita di capelli con uno schema chiaro e definito: la malattia colpisce sia gli uomini che le donne, ma ha una maggiore incidenza sugli individui di sesso maschile, e non impatta soltanto sull’estetica della persona, bensì anche sulla propria autostima, sulla sicurezza e sull’accettazione di se stessi.
L’idillio del trapianto di capelli turco, però – come qualsiasi idillio che si rispetti – ha un preoccupante rovescio della medaglia, messo in evidenza da un articolo pubblicato su Quartz nel 2017. Vuoi per la competizione divenuta agguerrita, molti sono disposti ad adottare misure estreme per ridurre i costi attirare clienti in cerca dell’affare del secolo, e sempre più cliniche sono disposte a ingaggiare personale non qualificato per offrire prezzi stracciati.
I medici ormai non eseguono la maggior parte degli interventi, nonostante la legge turca richiedano espressamente il loro operato: nella maggioranza dai casi ci si affida a infermieri e tecnici che hanno ricevuto una debita formazione e che non hanno bisogno di essere supervisionati, ricorrendo al dottore con tutti i sacri crismi soltanto nei casi più gravi o complicati.
Negli ultimi cinque o sei anni, la corsa ad accaparrarsi clienti ha superato le preoccupazioni riguardo la qualità e l’attendibilità, e tantissime strutture ignorano di proposito le regole: riescono a farla franca solo perché gli ispettori del Ministero della Salute sono più che disposti a prendere tangenti in cambio di un avvertimento che informa circa l’arrivo di un’ispezione ufficiale. Al momento dell’ispezione, va da sé, la clinica si fa trovare pronta e si presenta normalmente funzionante.
C’è, poi, un ulteriore problema: la nascita di una micro-economia all’interno del settore composta e alimentata dai rifugiati siriani, preziosissimi in quanto parlano l’arabo. Il loro ruolo consiste nel reclutare pazienti e nel guidarli attraverso l’intero processo, rispondendo alle telefonate, chiarendo i vari dubbi e traducendo le conversazioni con il personale medico turco: la storia ritorna a essere sempre la solita, dove c’è un datore di lavoro che sfrutta e un dipendente costretto a subire. Dieci ore di lavoro al giorno con un solo giorno libero a settimana, oltre alla pretesa di essere sempre disponibili telefonicamente ventiquattr’ore su ventiquattro. In caso di non risposta, il taglio di stipendio o del riposo settimanale è dietro l’angolo.
Le cliniche sovente pagano stipendi base a livelli di povertà e offrono commissioni in aggiunta, salvo poi stabilire quote di vendita irragionevoli che rendono impossibile guadagnare le suddette commissioni. La situazione dei rifugiati siriani è particolarmente critica perché tanti sono privi del permesso di lavoro ufficiale, dunque non possono appellarsi ad alcun ricorso legale in caso di maltrattamenti: le difficoltà che incontrano a trovare un impiego in Turchia li costringono dunque ad accettare lunghe ore di lavoro a fronte di salari miseri, per paura di rimanere disoccupati.
Nicholas Grisewood, Labour and Crisis Migration Specialist presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), afferma che le problematiche descritte dai rifugiati siriani nell’industria dei trapianti di capelli sono comuni a quelle di parecchi rifugiati siriani in tutta la Turchia: «i rifugiati sono disposti a scendere a compromessi che i turchi rifiutano. Si mettono a rischio per la semplice ragione della sopravvivenza».
Emre Eren Korkmaz, ricercatore presso l’International Migration Institute, concorda:
«Come conseguenza del processo burocratico e delle condizioni per ottenere permessi di lavoro, i rifugiati siriani sono generalmente impiegati nell’economia informale. Il che significa che non vengono registrati al sistema di sicurezza sociale e non possono godere dei loro diritti e libertà fondamentali, come la libertà di associazione; sanità e sicurezza; orario di lavoro; salario minimo».
Da parte delle cliniche non mancano veementi smentite: è naturale che chi si occupa di assistenza sanitaria risponda al telefono giorno e notte; i rifugiati guadagnano una vita dignitosa e uno stipendio grazie a questo mercato; non esistono maltrattamenti di sorta. In attesa che l’ILO compia una doverosa indagine sul fenomeno, la domanda sorge spontanea: portare alla luce un simile scandalo disincentiverebbe il turismo medicale arabo verso la Turchia? Probabilmente (e purtroppo) continuerebbe a essere il sogno di una nuova capigliatura low-cost ad averla vinta.