il Giornale, 29 luglio 2019
Biografia di Antonio Conte
«In panchina si divincola come un pagliaccio». Gliel’ha tirata lì Mourinho quando stavano in Premier, uno al Chelsea e l’altro allo United. Adesso Antonio Conte è qui a Milano, addirittura all’Inter e gli tocca fare l’antiMou anche se gli dà fastidio, non ne ha voglia. Ma il confronto è inevitabile, il passato da cancellare è lo Special One, mica Stramaccioni o Pioli, con tutto il rispetto.
Alla presentazione del 7 luglio ha detto che qui si sta perdendo la passione e vuole riportarla, una delle conferenze meno banali degli ultimi anni, si è dato l’uno per cento di possibilità di vincere ma ha aggiunto che se lo giocherà fino all’ultimo, lo spremerà, era un avviso ai ragazzi, sono in tanti, gioca chi suda. Non lo dice e basta, non tollera pause, finge di accettare gli errori ma poi se il traduttore sbaglia e non capisce niente, si gira e gli ruggisce in faccia fino a farlo cadere dalla sedia. È successo per davvero, conferenza stampa di vigilia con il Newcastle. Ha fatto scrivere gli inglesi per una settimana ma per evitare di trovarselo davanti all’improvviso, titolavano «Simpatico siparietto fra Conte e il traduttore». Erano i suoi ultimi giorni al Chelsea, conosceva già la fine dopo una Premier e una FA Cup, non era pericoloso ma era meglio girargli al largo. Come in campo, giocava in mezzo con una corazza rudimentale, nel tempo poi ha affinato anche la tecnica, vicecampione del mondo a Pasadena nel 1994, una carriolata di trofei con i nemici e la fascia di capitano. Uno sul quale potevi puntare a occhi chiusi. Adesso maschera e dice che ha poche certezze, parte con la difesa a tre perché dietro ci sono i veri giganti e ha menzionato anche D’Ambrosio, Ranocchia e Bastoni, giusto per far credere che sono uno più bravo dell’altro: «Ma poi magari cambio, e non sarebbe la prima volta che lo faccio».
È la punta di una squadra che ha guadagnato ancora l’ingresso in Champions ma la sta svestendo, ha fatto capire che è arrivata fin lì due volte di fila ma poi è troppo poco, cerca di più e mentre diceva queste cose non si è mai girato verso il dg Marotta che gli stava al fianco: «Conosco i suoi pregi, e anche i suoi difetti. Tutti li abbiamo, anche lui», e gli è scappato l’unico sorriso in quasi 50 minuti. Loro si conoscono, due fra i più odiati fino a poco tempo fa, impensabile da digerire per i bauscia puri, poi perfino il sindaco Sala ha detto che magari saranno proprio due juventini a riportare in alto l’Inter, una specie di investitura, e dietro c’era la fila dei tifosi allineati e coperti a strizzare gli occhi e stringere i pugni. Conte lo batti, nessuno è invincibile, ma se ci riesci hai fatto un’impresa, è stata così tutta la sua vita nel calcio, e la gente ci crede, è questa la prima vera notizia in una squadra che si trascina questa maledetta nomea di pazza, da puntare ma senza giocarci sopra molto, potrebbe uscire con il Psv, con la Lazio ai rigori o con l’Eintracht, e farlo davanti alla sua gente, nel suo stadio.
Conte lo sa, era in campo a Udine in quell’incredibile 5 maggio del 2002 quando l’Inter gli regalò lo scudetto all’ultima giornata... Praticamente la sua ultima stagione vera e per chiudere in bellezza ha scelto proprio l’Inter, 4 aprile 2004, a San Siro poi, 3-2 per lui naturalmente. Difficile da digerire per gli interisti uno così? Sì, difficile, se non fosse che si porta dietro l’esatto opposto della grande contraddizione bauscia, lui dove è andato ha vinto senza guardare in faccia nessuno, ha tirato giù la testa e ha pedalato, come gli piace dire. A Lecce è diventato professionista, pagato 200mila lire più 8 palloni, di cui tre sgonfi precisa, poi è tornato da quelle parti ma sulla panchina del Bari e ha rischiato grosso. Una sera al Memorial in onore di Francesco Renna, peraltro suo cugino, vince il torneo di calcetto a Spiaggiabella vicino Lecce e tre energumeni armati di bastoni lo inseguono fino a casa per prenderlo a mazzate, salvato dagli amici e dalla Digos. Poi allena il Siena e alla vigilia della sfida col Modena salta sulla sedia: «Stiamo andando in serie A con un gruppo di giocatori che non voleva nessuno, ringraziate il cielo che ci sono qua io. Gufi statevene a casa». A Siena gli succede di tutto. Il 26 luglio 2012, nell’ambito del terzo filone dell’inchiesta sul calcio scommesse, la Procura Federale lo accusa di omessa denuncia per le partite contro Novara e Albinoleffe. Gli rifilano 1 anno e 3 mesi. Patteggia, diventano 4 mesi, finito? Magari! Gli piazzano anche una denuncia per frode sportiva, brutta storia che finisce il 16 maggio di tre anni fa quando il Gup lo assolve definitivamente per non aver commesso il fatto. Una vita in equilibrio fra la gloria e la vergogna con risvolti gossip.
Un giorno un fan di Cesare Ragazzi ha rivelato che c’era un nazionale che aveva in testa qualcosa e una sera il dottor Galliani lo ha invitato a togliersi quel parrucchino: «Sono stato mezzo pelato, poi completamente pelato ma adesso ho i miei capelli e ci convivo benissimo, il look è importante per un calciatore». L’ultimo gladiatore, testa, cuore e gambe, forse tre anni potrebbero essere pochi per riuscirci ma chi può dirlo. Gira la voce che l’Inter stia inseguendo lo stile Juventus, cosa che manda in bestia, pare invece che sia più il progetto De Laurentiis a piacerle, un grande allenatore come Ancelotti e zero acquisti esplosivi nel primo anno, per ora ci siamo, anche se Conte si aspetta il botto subito, sembra che si guardi attorno e si chieda dov’è che stiamo andando, dov’è il progetto? Per ora di certo c’è l’esclusione di Mauro Icardi, primo giocatore al mondo sul mercato per eccessiva esposizione mediatica della moglie. Conte si è coperto molto bene: «La società è stata chiara, e l’allenatore deve fare corpo unico». È uno che se vuole prende Icardi per un orecchio e gli dice tu adesso fai questo e quest’altro altrimenti ti spedisco a calci a Rosario a riabbracciare i tuoi cento delinquenti e poi stai fuori e resta fuori, perché se non rimani fuori ti faccio fuori. Se vinci, tutti zitti. In tanti si aspettavano questa mossa da Conte, uno che si fa come dice o va via e si porta via il pallone, ma gli hanno frullato il cervello per benino, Icardi è out. Lui ha chiesto: chi lo ha deciso? La curva?
Zero risposte.
Una cosa è certa, se l’Inter non vince neppure con lui può chiudere baracca e burattini per un po’, adesso fa 50 anni e si aspetta il regalo, magari Josè lo chiama e gli fa gli auguri. Giusto per ricordargli che prima lì c’era lui.