il Giornale, 29 luglio 2019
Intervista a Jodie Foster
Jodie Foster torna a recitare in Hotel Artemis, in arrivo in Italia il primo agosto. È il suo primo film davanti alla macchina da presa dopo cinque anni di sola regia. Diretto dal debuttante Drew Pearce con Sterling K. Brown, Jeff Goldblum, Sofia Boutella e l’ex wrestler Dave Bautista, Hotel Artemis è un dramma distopico in cui l’attrice premio Oscar (due statuette e quattro nomination) interpreta Jean Thomas, un’infermiera segnata dalla perdita del suo unico figlio, che vive barricata in un vecchio albergo nella Los Angeles del 2028, devastata da violenti scontri e feroci retate della polizia. All’interno dell’Artemis, L’infermiera si prende cura di criminali che, se arrestati, verrebbero rinchiusi in carcere a vita. Una sorta di angelo custode delle anime diaboliche che governano la città. È provata e stanca ed è ossessionata dal rispetto per le regole, le sole grazie alle quali quella sorta di ospedale può sopravvivere. Il suo unico sollievo viene dalla musica di Neil Young e da un lettore vintage dal quale non si separa mai: «È l’unico modo che ha per tornare ai tempi che furono spiega l’attrice quelli felici di quando suo figlio era ancora in vita». Oggi Jodie Foster ha 56 anni, due figli (Charles e Kit Foster, ndr) ed è la moglie della fotografa Alexandra Hedison.
Dopo tanto tempo, ha deciso di tornare davanti alla cinepresa. Com’è stato?
«Bellissimo e naturale, anche perché lo faccio da una vita. Anzi, è la cosa che ho fatto di più nella mia vita. È un lusso e un onore per me avere ancora la possibilità di recitare dopo 52 anni di carriera. Ma soprattutto è straordinario poterlo fare, perché è ciò che più amo. Che sia un ruolo importante o un cameo non importa, non ho più nessun traguardo da raggiungere».
Come mai ha scelto questo film per il suo ritorno?
«Mi affascinava la trasformazione fisica richiesta, desideravo potermi mostrare in maniera differente da come sono. È interessante il percorso di Jean e il fatto che la sua vita traspaia anche attraverso il suo aspetto fisico. È un personaggio che mi ha portato a lavorare molto sulla mia fisicità».
In una Hollywood dove bellezza e freschezza sono richieste come doti eterne, a lei sembra non interessare. È così?
«Quello di voler recitare in età avanzata è un desiderio che ho, perché penso che con gli anni si raggiunga una certa ricchezza di esperienze e una determinata maturità fisica. Credo di essere l’unica donna al mondo a volersi mostrare vecchia».
Cos’altro l’ha spinta ad accettare la parte?
«I temi trattati, che poi sono quelli attuali: il cambiamento climatico, il problema della sanità, la scarsità d’acqua, la brutalità della polizia. Sono tutti argomenti di cui si parlerà per i prossimi 25 anni e la fantascienza al cinema è proprio questo: anticipare i tempi».
Alcune cose viste sul grande schermo in effetti poi si sono verificate anche nella realtà.
«Pensiamo a Matrix, praticamente ora ci siamo dentro. Il mondo in cui viviamo è cambiato dal giorno alla notte senza che ce ne accorgessimo. È l’evoluzione, la tecnologia, la rivoluzione digitale, che è stata la più veloce di sempre e anche tra le migliori fonti d’ispirazione per l’industria cinematografica».
A proposito di cambiamenti, cosa pensa di quelli che soprattutto nell’ultimo anno hanno visto protagoniste le donne a Hollywood?
«Quando ero bambina e recitavo, sui set le uniche donne eravamo io e la truccatrice, mentre gli altri erano tutti uomini. Sono contenta però che le cose siano cambiate, anche se c’è ancora molta strada da fare. Almeno a Hollywood, dove le donne registe restano poche, in Europa la cose vanno molto meglio».
Perché ha deciso di prendersi una pausa dalla regia?
«Negli ultimi cinque anni ho avuto la fortuna di dirigere sia film sia serie tv. L’ho sempre detto che a 50 anni mi sarei dedicata alla regia e il lavoro da regista resta la mia priorità. Per quanto riguarda la recitazione invece, mi sono sempre detta che avrei continuato solo se avessi trovato qualcosa per cui ne sarebbe valsa davvero la pena. È il caso di Hotel Artemis».
Qual è l’aspetto che più l’affascina di questo film?
«Il fatto che sia un film multirazziale, perché è così che è anche la vita reale. Se vivi a Los Angeles o a New York o in una qualsiasi altra grande città del mondo, te ne accorgi facilmente. La varietà di razze ci circonda e ci arricchisce, e la sceneggiatura di Hotel Artemis è stata scritta tenendo conto proprio di questo».
Cosa s’impara nel crescere (con un’altra donna) due figli maschi?
«Amo i miei due ragazzi e amo vederli crescere. La loro pubertà è stata un’esperienza ma, paradossalmente, è stato anche un modo per conoscere gli uomini. C’è un legame speciale che si crea tra una madre e un figlio maschio. Sei al suo fianco quando devi aiutarlo ad attraversare la strada e poi all’improvviso si trasforma in un uomo alto un metro e ottanta, anche se per te resta il bimbo di sempre. È un legame indescrivibile».
E sul futuro in cui vivranno cosa può dire?
«Che non sarà un futuro buio: ci sarà redenzione nel mondo, ne sono convinta».