il Giornale, 29 luglio 2019
Medici, tre aggressioni al giorno
L’allarme carenza medici ha superato il livello di guardia ma non si vedono all’orizzonte provvedimenti strutturali per affrontare la crisi. Le istituzioni propongono soluzioni tampone per coprire i vuoti in corsia come quella di richiamare al lavoro i pensionati, impiegare i neolaureati per i pronto soccorso o convocare i medici militari. In particolare rischiano di andare deserte le specialità di frontiera dove le probabilità di finire denunciati per malpractice sono più alte come la medicina d’emergenza e la chirurgia. Il presidente della Società Italiana di Chirurgia, Paolo de Paolis ribadisce la necessità di interventi più incisivi.
Presidente, quali sono le specializzazioni più a rischio?
«Il problema ha un duplice aspetto: il rischio di mancanza di medici specialisti e il rischio dal punto di vista del contenzioso medico-legale. Sono strettamente interconnessi: un lavoro che comporta rischi professionali elevati porta inevitabilmente ad una riduzione delle vocazioni, cui peraltro contribuiscono pesantemente condizioni di lavoro e livelli retributivi poco allettanti. Tanto più alto è il rischio di incorrere in problemi nella vita lavorativa quotidiana tanto più i giovani sono portati a scegliere branche della medicina più tranquille. Le specializzazioni più a rischio sono chirurgia generale, ostetricia e ginecologia e ortopedia, oltre a tutta l’area dell’emergenza e del primo intervento. Le Asl indicono concorsi per queste specialità e sono costrette a riproporre continuamente le stesse selezioni per trovare i medici».
Quanto pesano le denunce e le aggressioni?
«È un problema serio. Sono circa 300 mila le cause pendenti contro i sanitari in tutta Italia. Questo dato incide sia sulle vocazioni dei giovani medici sia sull’approccio dei colleghi che utilizzano sempre di più una medicina di tipo difensivo per evitare problemi. Il numero di denunce, unito alla pubblicità delle agenzie che si dicono specializzate nei casi di malasanità, hanno contribuito ad alimentare nel nostro Paese un clima di sospetto che purtroppo sfocia spesso in aggressioni verbali e fisiche nei confronti dei medici. Nel 2018, stando alle statistiche dell’Inail, sono state presentate 1.200 denunce da parte di vittime di aggressioni nelle realtà sanitarie. Ogni giorno in Italia si verificano in media tre casi di aggressione in ospedale, pronto soccorso, guardie mediche e ambulatori. Particolarmente colpite le colleghe.
Quanti sono oggi i chirurghi e quanti saranno tra cinque anni? Quali sono le specializzazioni che rischiano?
«Si prevede un ammanco di circa 16.700 medici, 1.300 chirurghi. Da sommare le carenze di colleghi nei comparti di ortopedia e traumatologia, 550 unità totali, ostetricia e ginecologia, 690 unità. Previsioni nere anche per cardiochirurgia, neurochirurgia e otorinolaringoiatria».
Come convincerebbe un giovane laureato a scegliere questa specializzazione?
«La chirurgia è stata storicamente una delle specialità cui i giovani aspiravano maggiormente, la più affascinante. Oggi la tendenza è cambiata. É necessario dare ai giovani prospettive in termini di crescita professionale e formativa, una retribuzione adeguata e garanzie dal punto di vista della tutela legale ed assicurativa. Bisogna poi farli operare. Una volta usciti dal contesto universitario la situazione è critica, con il collo di bottiglia rappresentato dalle scuole di specializzazione e la formazione post laurea. I posti messi a disposizione per la formazione in chirurgia sono pochi. I chirurghi finito il percorso formativo, in attesa dell’assunzione tramite concorso statale, non possono più frequentare il reparto né operare perché sprovvisti di copertura assicurativa, a meno che uno non se la possa permettere, e senza stipendio. In Italia l’attesa media per un concorso è di un anno, troppo tempo».
Cosa ne pensa del ricorso ai pensionati, ai neolaureati e ai medici stranieri?
«Richiamare i medici andati in pensione può apparire come una soluzione. Questo è positivo dal punto di vista delle garanzie professionali e dell’esperienza ma tali richiami passano attraverso contratti retributivi che spesso risultano essere superiori a quello previsto per i dipendenti del Ssn, creando ancor più in questo ambito demotivazione e proteste. Largo ai nostri giovani per cui spendiamo mediamente 300mila euro a testa per la loro formazione. Sui medici stranieri non vogliamo alzare barriere, è un paradosso però pensare che i nostri medici vadano all’estero e ci si trovi costretti a chiamare specialisti da fuori».
Quali sono le nuove frontiere in chirurgia?
«Sicuramente le nuove frontiere si coniugano con il processo tecnologico nel cui ambito possiamo pensare senz’altro alla robotica, allo sviluppo della diagnostica preoperatoria con possibilità di guidare l’intervento in modo mirato, alla tridimensionalità e al passaggio di dati in tempo reale. Questo è il futuro già presente ma non possiamo dimenticare la nuova frontiera del 5G,(operare a distanza) quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione».