la Repubblica, 29 luglio 2019
Quel folle amore di Balzac
Charles Baudelaire è stato il più grande critico europeo del XIX secolo: nessuno, tanto meno Sainte- Beuve, possiede la sua cultura, l’ispirazione di Poe, la prodigiosa intelligenza analogica, sottigliezza, immensa profondità, sovrana attenzione.Balzac, disse Baudelaire, era una «prodigiosa meteora che copre il nostro paese come una nuvola di gloria, come un oriente bizzarro ed eccezionale, come un’aurora polare che inondi il deserto ghiacciato con le sue luci favolose». Balzac fu preda e vittima della propria creazione: fu guarito, anima e corpo, dalla Comédie humaine. Venne risucchiato dentro di lei: si inebriò di lei; e la abitò come l’ultimo ed il più devoto degli inquilini – grazie ad una ipnosi sonnambolica. Ricordava Poe quando diceva: «L’uomo sotto la pressione di sentimenti giunti al punto della monomania a causa della propria intensità, si trova sovente nella situazione in cui lo immergono l’oppio, l’hashish, e il protossido di azoto. Allora appaiono gli spettri, i fantasmi, allora i sogni prendono corpo, le cose distrutte rivivono nelle loro condizioni passate». Conosceva l’allucinazione creatrice. Nelle prime ore del mattino immaginava le sue trame e i suoi personaggi, e parlava con loro, e ascoltava i loro discorsi incomprensibili.
In quel tenebroso palazzo sotterraneo che era la Comédie humaine, accadevano straordinari processi di dilatazione: o addirittura violente esplosioni. Chiuso nella sua opera, Balzac dava una parte di sé a tutti i suoi personaggi, anche i più infimi e lontani da lui. Aveva idee a cui teneva moltissimo; e queste idee riapparivano, identiche, sulla bocca di un idiota, di un assassino, o di un’oca mondana. Egli li parodizzava e insieme parodizzava grandiosamente se stesso. «In letteratura ogni idea ha il suo rovescio… tutto è bilaterale…». Egli condivideva tutti i punti di vista e si identificava con loro: era presente ovunque e dappertutto e da nessuna parte. Quale vertiginosa ubiquità. Quale proteiforme onnipresenza. In realtà, non sappiamo mai quello che Balzac pensava: sappiamo soltanto quello che il suo libro pensava. Solo in Dostoevskij, abbiamo un senso più angoscioso della fatale ambiguità di ogni narrazione.
Quale slancio infinito di passione, abita la Comédie humaine. Una grande passione assorbe tutte le sensazioni e i sentimenti che le fanno corona, e ne eredita la forza. In essa si concentra l’universo. Talvolta egli crea l’universo, suscitandolo dal nulla; e intorno a lui lascia irradiare una fibrillazione indistinta. «Nessuno conosce – dice un personaggio della Comédie humaine — tutta la potenza nervosa che si cela nell’uomo sovreccitata dalla passione». Ma Balzac non è mai soddisfatto di ciò che crea. Il diapason di ogni desiderio non può essere che la follia: il culmine di una sovrumana follia, che esplode nel delitto.
Tutte le passioni sono vibrazioni fisiche, irradiazioni elettriche. La chiave di Balzac è la frase del prologo del vangelo di Giovanni: Et verbum caro factum est; la parola è carne, diventata carne; anche se in un momento di quasi follia tutta la realtà che Balzac immaginò, poteva ritrasformarsi nel verbo di Dio. Niente sta fermo. Il verbo-carne è mobilissimo. «Tutto è movimento. Il pensiero è un movimento. La morte è un movimento che conosciamo poco». Il movimento è contrasto: ogni cosa è sopraffatta da una forza opposta. C’era, in Balzac, un potentissimo istinto di concentrazione, nel quale egli scorgeva il cuore del suo genio. Tutto è folto, stipato, gremito: massa compatta, chiusa, abolizione di ogni spazio libero e corrente d’aria. «Il vuoto non esiste». «Il nostro globo è pieno e tutto è collegato». «La natura è una e compatta». Non c’è mai respiro o battito d’ali. Il mondo è un carcere: la Comédie humaine è una prigione. Nemmeno Dostoevskij portò all’estremo questo senso della concentrazione e della condensazione. Non c’è mai un’omissione: Balzac si sente obbligato a trascrivere il minimo oggetto. Il commento non lascia mai libera la realtà, che Balzac vuole ingoiare. Non è felice se non ha descritto tutte le condizioni e le situazioni sociali: se non ha rappresentato gli alberghi di Parigi, i nomi dei sarti, le vecchie e nuove tipografie, il codice commerciale, le cambiali, i brevetti. Da Tolstoj a Kafka il romanzo moderno, che ama l’omissione – non è che una cosciente, grandiosa ribellione contro Balzac.
La Comédie humaine è un Uno-Tutto, un magma ardente e infuocato, concepito nel più profondo degli inferni moderni, piuttosto che una cattedrale, come dirà Proust della Recherche. Ogni cosa sta per esplodere: ogni cosa può condurre – come diceva Dickens, a «qualche combustione istantanea». Mentre leggiamo, viviamo sempre un attimo prima o un attimo dopo la deflagrazione del libro.
Dopo il 1832 Balzac pubblicò l’ Histoire des Treize, che nel 1834 cambiò titolo diventando la Femme aux yeux rouges, ma il titolo definitivo del suo capolavoro – il testo più folle, più abissale e incantevole che abbia mai scritto – è la Fille aux yeux d’or : «una passione terribile davanti alla quale ha indietreggiato la nostra letteratura, che tuttavia non ha paura di niente». È la immensa tradizione erotico-libertina francese che nessun altro paese europeo possiede. Niente di erotico ed osceno resta escluso da questa esplosione criminale. Tutto è delitto, vastità, allucinazione, molteplicità, male assoluto – perché il male assoluto non può essere che Eros.
C’è la passione fisica, la molteplicità dei punti di vista, il fuoco del magma, il mistero e l’infamia di Parigi, l’oro e il piacere, lo zolfo e il gas, l’eccesso – è una specie di terrore, di vero terrore di ciò che Balzac sta scrivendo. Tenta di superare qualsiasi limite, e vuole superarlo e lo supera. Si perde non sappiamo dove; e a volte non riesce più a ritrovarsi. Tutto è bianco e rosso: i colori del male. Ecco Parigi: «questo popolo orribile da vedere, cavo, giallo, infossato» e i visi contorti, le maschere più terribili, i cortei funerari: Parigi – fuoco: La lascivia di ogni istante, la bellezza depravata, il gas, la fine dello spazio, il logorio del tempo, l’ebbrezza segreta, il «desiderio e la ricerca del Tutto» come diceva il Baron Corvo, la «bellezza fiammeggiante» dei visi, la gioia fabbricata, l’oppio di Poe e di Baudelaire, i terribili colori bianco e rosso, il piacere che non arriva mai, oro e oro e oro, tutti i singhiozzi e le grida della grande orchestra, la scrittura a strati, la donna fulva, nella quale Eros è installato, la stretta di mano elettrica di Paquita Valdés, la vendetta più feroce.
La fine del grande racconto è terribile. La ragazza dagli occhi d’oro spirava annegata nel sangue. Tutte le fiaccole accese, il profumo delicato che si faceva sentire, un certo disordine dove un uomo doveva riconoscere delle follie connesse a tutte le passioni, annunciava che la Marchesa aveva sapientemente interrogato la colpevole. Questo bianco appartamento dove il sangue appariva così chiaramente, tradiva un lungo combattimento. Le mani di Paquita avevano seguito il segno sui cuscini. Dappertutto si era attaccata alla vita, dappertutto si era difesa, e dappertutto era stata colpita. Pezzi interi della tenda erano stati strappati dalle sue mani insanguinate, che avevano lottato a lungo.
«Paquita doveva aver cercato di scalare il soffitto. I suoi piedi nudi era segnati lungo la spalla del divano, sul quale, certo, aveva corso. Il suo corpo, straziato a colpi di pugnale dall’assassino, diceva con quale accanimento aveva disputato una vita che Henri de Marsay le rendeva così preziosa. Giaceva a terra e morendo, aveva morso i muscoli del tallone di madame de San-Réal che teneva in mano il pugnale bagnato di sangue. La marchesa aveva i capelli strappati, era coperta di morsi e il suo vestito lacerato la lasciava vedere mezza nuda, coi seni graffiati. Così era sublime. La sua testa avida e furiosa, che respirava l’odore del sangue restava semi-aperta. E le sue narici non bastavano al suo respiro... Non vide Henri. Era troppo sola per temere testimoni: poi era troppo imbevuta di sangue caldo, troppo animata dalla lotta, troppo esaltata per scorgere Parigi intera, se Parigi avesse fornito un circo attorno a lei... Non aveva nemmeno sentito l’ultimo respiro di Paquita e credeva di poter essere ancora ascoltata e capita dalla morta».