Corriere della Sera, 29 luglio 2019
Lo «spavento rosso» ora si applica alla Cina
Esiste una espressione americana — red scare , spavento rosso – che ritorna periodicamente negli annali politici degli Stati Uniti. Fece la sua prima apparizione sui giornali e nei comizi dopo la fine della Grande guerra, quando la Rivoluzione d’Ottobre e la presenza di piccoli gruppi anarchici nelle città della costa orientale terrorizzarono i settori più conservatori della società e costarono la vita a Sacco e Vanzetti, giustiziati nel 1927 per un reato che non avevano commesso.
Red scare riapparve poco più di venti anni dopo, quando un senatore, Joseph McCarthy, scatenò una velenosa campagna contro una presunta invasione comunista della società americana. Vedeva «rossi» dappertutto: nei giornali, nella pubblica amministrazione, nelle università, persino fra gli scienziati che avevano lavorato alla costruzione della bomba atomica, e soprattutto a Hollywood, dove molti film, secondo Mc Carthy, facevano propaganda per l’Urss. Le vittime erano quasi sempre persone che avevano simpatizzato per l’Unione Sovietica quando era alleata degli Stati Uniti e in alcuni casi si erano iscritte al partito comunista americano.
La Guerra fredda, soprattutto dopo la crisi dei missili cubani, rese il clima meno bollente. L’Unione Sovietica era un potenziale nemico, ma anche un interlocutore indispensabile. Nel frattempo, tuttavia, lo spavento rosso si era spostato verso l’Asia dove la nascita della Repubblica popolare cinese nel 1949 e la Guerra di Corea dal 1950 al 1953 avevano fatto della Cina il nuovo nemico. Vi sono stati da allora lunghi momenti di distensione, fra cui i memorabili viaggi di Henry Kissinger e Richard Nixon a Pechino. Ma con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca la Cina è diventata nuovamente il grande potenziale nemico di cui l’America sembra avere sempre bisogno. In un primo momento l’arma di cui il presidente si è servito è stata quella dei dazi, imposti per colpire le esportazioni cinesi; ma i risultati sono stati inferiori alle attese. Un’altra arma è la campagna con cui Trump, esercitando pressioni sugli alleati degli Stati Uniti, ha cercato di evitare che Huawei divenisse uno dei principali fornitori di apparati elettronici per l’installazione del più moderno e veloce sistema di comunicazione (5G). E più recentemente la campagna anti-cinese ha assunto forme e caratteri che ricordano quelli dei momenti più caldi della Guerra Fredda. Come ricorda Ana Swanson sul New York Times del 22 luglio, i servizi di sicurezza chiedono alle università americane di evitare che gli studenti cinesi si impadroniscano di brevetti scientifici; in pratica di evitare che frequentino corsi o seminari a cui altri studenti stranieri possono liberamente partecipare. E quando devono spiegare i loro atteggiamenti, molti uomini politici americani non esitano a rispondere, con franchezza, che la Cina sta minacciando la leadership globale degli Stati Uniti. Una risposta che userebbero forse anche per coloro che, come l’Unione europea, desiderano riequilibrare i loro rapporti con Washington.