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 2019  luglio 29 Lunedì calendario

Storia dell’esercito italiano

Parlare di esercito e militari significa affrontare il tema della sovranità, del monopolio della forza, di come un Paese considera i suoi cittadini e di come il concetto di cittadinanza si modifica nel tempo. Ma significa anche seguire i grandi fatti che caratterizzano quel Paese, le guerre, le minacce percepite, gli interessi geo-strategici, i rapporti con i vicini, le alleanze e i loro mutamenti, la capacità di rinnovamento tecnologico, la disponibilità a spendere una parte più o meno cospicua delle ricchezze nazionali per acquistare nuove armi e addestrare le truppe a utilizzarle.
Sono tanti i motivi per segnalare il nuovo volume di Claudio Vercelli sulla storia dell’esercito italiano, Soldati (Laterza), che in realtà si rivela una ricca e documentata cavalcata dal Risorgimento ai nostri giorni, dove il filo rosso delle trasformazioni subite dalle forze armate diventa lo specchio fedele dei mutamenti della società da una prospettiva tanto originale quanto inaspettatamente fertile e carica di suggestioni.
Un esercito dunque che ha origine nelle vicende belliche europee dei Sei-Settecento, figlio delle concezioni maturate nelle monarchie assolute, con le compagnie di ventura e i mercenari ben contenti di razziare appena possibile; dove la distanza tra soldati e ufficiali era siderale e i cadetti delle grandi casate nobiliari guardavano ai loro uomini come «carne da cannone» sacrificabile senza problemi in conflitti essenzialmente mirati ad arginare e controllare l’avversario, senza quasi mai annullarlo del tutto. Concezioni che mutano radicalmente con la leva obbligatoria introdotta dopo la Rivoluzione francese e la nascita dei cittadini-soldato e vengono rapidamente assimilate nella nuova era del «risveglio delle nazioni».
È impressionante pensare che circa un terzo dei 65 mila effettivi dell’esercito di Carlo Alberto all’inizio della Prima guerra d’indipendenza fosse composto da volontari (di cui 4.500 lombardi, 9 mila veneziani, oltre a 1.600 napoletani). Sebbene poco efficienti dal punto di vista militare, il dato aiuta a capire la popolarità e il consenso che le forze armate dei Savoia destinate a diventare motore primo dell’unificazione godevano tra la loro popolazione.
Un consenso che tuttavia per l’opinione pubblica dello Stato dopo l’unità si rivela ondivago, incostante e per nulla garantito. Pochi protestano allora che oltre il 40 per cento della spesa pubblica sia destinato all’esercito, con un onere crescente per la nuova Marina. Ma i militari restano una casta, nel 1860 quasi l’80 per cento degli ufficiali è piemontese. E il primo impegno militare unitario è rivolto alla repressione del brigantaggio nel Meridione, dove le simpatie verso le nuove istituzioni sono a dir poco tiepide, se non quasi nulle. Tra il 1860 e il 1865 vengono inviati ben 120 mila soldati nell’Appennino meridionale. Un numero gigantesco se si ricorda che allora l’intero esercito contava 250 mila unità.
I problemi volti a inquadrare e addestrare reclute arrivate da tutto il Paese sono giganteschi. La leva del 1847 ha tassi di analfabetismo che sfiorano il 60 per cento. Un dato che diminuisce lentamente solo dopo la Prima guerra mondiale. Eppure, è indicativo che negli anni Cinquanta del Novecento il distretto militare di Monza (siamo nel cuore del Triangolo industriale) registri ancora il 20 per cento di analfabeti tra i coscritti, oltre al 60 per cento con la sola quinta elementare, 4 per cento diplomati e meno dell’un per cento laureati. Una trentina d’anni dopo l’analfabetismo è scomparso, mentre diplomati e laureati sono circa la metà. Il Paese è totalmente mutato. All’ostilità popolare verso soldati e generali cresciuta dopo le sconfitte della Seconda guerra mondiale e le vergogne dell’8 settembre 1943 si aggiungono il pacifismo e il sentimento anti-naja maturati con le rivolte studentesche del 1968.
L’ultimo richiamo generale alla leva riguarda la classe del 1985. Ma da allora l’esercito di professionisti volontari (ridotto a un massimo di 190 mila unità) cambia radicalmente volto. Oggi il grado di consenso nei suoi confronti è in rilevante aumento e le missioni di pace nel mondo contribuiscono in parte ad alimentarlo.