La Stampa, 28 luglio 2019
Intervista a Lord Peter Mandelson
Lord Peter Mandelson, ex ministro laburista, presidente del think thank internazionale «Policy Network», co-fondatore e presidente della società di consulenza strategica «Global Counsel», come sta?
«Il mio Paese viene costretto a uscire dalla famiglia europea da un governo conservatore di ultra destra, sostenuto da meno della metà della popolazione, e che guarda al di là dell’Atlantico per stringere un alleanza con un presidente americano che sembra non avere problemi a venire considerato un nazionalista bianco. Non ho molti motivi per essere felice».
Jeremy Corbyn, l’attuale leader del Labour, dice di volere un secondo referendum.
«Corbyn è stato costretto ad accettare l’idea di un secondo referendum perché il suo partito ha insistito, ma non ci crede veramente, né si oppone alla Brexit».
Se venisse indetto, lei farebbe campagna per spiegare ai britannici cosa significa andarsene?
«Io rispetto quelli che non condividono la mia visione dell’Europa. Molte persone però hanno votato la Brexit per ragioni completamente slegate dall’Europa e dalla sovranità. Hanno votato spinti dalla rabbia, come protesta per la loro sorte, il loro reddito e la direzione in cui stava andando il Paese. Ricordiamoci anche che nel 2016, 17,6 milioni di persone votarono per andarsene, ma altri 22 milioni non andarono nemmeno a votare. Chiediamo alla gente di pensarci su. Se riconfermeranno la loro scelta lo devono fare sulla base dei fatti e della realtà che ora conoscono. Fuori dalla Ue avremo meno indipendenza, meno potere, meno influenza, diventeremo più isolati e meno capaci di incidere sulla politica internazionale»».
E cosa fece Corbyn per scongiurare l’uscita dalla Ue?
«Pochissimo allora, né offre una vera leadership adesso. E’ un uomo debole e inefficace, che cova simpatie per la Brexit e crede che fuori dall’Ue la Gran Bretagna sarà più libera di costruire il socialismo. I suoi sostenitori parlano di Lexit, la versione labour e di sinistra della Brexit, per tornare a regolare l’economia e ridare proprietà allo Stato. Ma la Gran Bretagna non potrà fare nulla di tutto ciò.»
Conosce Boris Johnson?
«Sì, lo conosco. Boris Johnson è pronto a dire qualunque cosa pur di ottenere il potere, e a fare qualunque cosa una volta che l’ha ottenuto».
Se il partito non appoggerà Johnson, è possibile che Corbyn riesca ad avere la maggioranza parlamentare diventando di fatto il primo ministro?
«Se Boris Johnson punterà a una Brexit senza accordo la Camera dei Comuni lancerà una mozione di sfiducia, ci possono essere nuove elezioni e Johnson potrebbe perderle, ma questo scenario diventerebbe molto più probabile se Jeremy Corbyn prendesse una posizione chiara e non ambigua per il Remain e diventasse il leader indiscusso della metà del Paese che vuole restare nell’Ue».
C’è poi il problema del confine irlandese.
«Io sono stato Segretario per l’Irlanda del Nord e dal 1999 al 2001. Se il confine che rappresenta lo storico conflitto tra unionisti e nazionalisti irlandesi tornasse, significherebbe giocare con il fuoco. Esistono forze estremiste che potrebbero contestare l’accordo di pace e far ripiombare la politica irlandese nelle dispute settarie».
Lei era contrario alla candidatura di Corbyn per la leadership del Labour, ha cambiato opinione quando ha ottenuto un ottimo risultato alle elezioni?
«Non ho cambiato opinione. I sostenitori dell’Ue videro allora in Corbyn il portabandiera del Remain, senza capire quanto debole e ambiguo fosse rispetto alla Brexit. In seguito ciò è diventato chiaro ed è proprio per questo che la sua posizione sta traballando. Siamo in un momento in cui molte persone reagiranno con orrore a quello che Johnson progetta di fare - sfidando il Parlamento per portare la Gran Bretagna fuori dalla Ue senza un accordo che salvaguardi il commercio e il lavoro - ma non c’è fiducia nella volontà e nella capacità di Corbyn di bloccare tutto questo, non è lui il leader di cui il Labour ha bisogno adesso. Abbiamo bisogno di un’alternativa che possa fermare Johnson e il disastro verso cui stiamo andando».
Corbyn ha il problema di guidare un partito laburista antisemita. Un grande danno?
«In tutta la mia vita nel Labour non ho mai sperimentato l’antisemitismo ma quando Corbyn ne ha preso la guida il partito ha avuto migliaia di nuovi iscritti e l’antisemitismo si è diffuso come un virus nella base, come si vede anche dai social media. Si tratta di una minoranza, ma esiste».
Crede che Nigel Farage possa influenzare il governo di Boris Johnson?
«Farage attacca il partito conservatore da destra e vuole scalarlo».
Sembra che Trump e Johnson vogliano diventare buoni amici. Cosa ne verrà fuori?
«L’idea che come risultato della Brexit dovremmo genufletterci davanti a un presidente americano con queste idee appare oltraggiosa ai britannici».
In tutta l’Europa leader populisti come Johnson, Salvini e Le Pen cercano di ridurre il ruolo europeo. Cosa ne sarà dell’Ue?
«Al contrario di quello che penso per il mio Paese, sono estremamente ottimista riguardo all’Ue».